Credo sia stato lo storico del
diritto Italo Mereu a coniare l’espressione “normativa rinnegante” per indicare
quelle disposizioni che, quando vengono concretamente applicate, hanno
l’effetto di pregiudicare proprio quei diritti che sembrava invece volessero
tutelare.
Questo concetto mi è tornato in
mente quando ho letto che il nostro Parlamento ha concesso alle Regioni di svolgere
le proprie funzioni in molte materie con un regime di autonomia differenziata.
Ora, se l’autonomia è il potere
di dotarsi di proprie norme, senza essere assoggettati ad autorità superiori,
in questo potere c’è già la facoltà di differenziarsi, ed è dunque superfluo
aggiungere un aggettivo per indicare una qualità che è già contenuta nel
sostantivo: quando si è autonomi è ovvio essere differenziati, proprio come
quando si è cani è ovvio essere quadrupedi, salvo forse rarissime eccezioni.
Perché allora propagandare i vantaggi di un’autonomia
più autonomistica dell’autonomia? Io credo, paradossalmente, che sia per
giustificare quello che accadrà in futuro, ovvero la perdita di quell’autonomia
finora esercitata dalle Regioni Italiane.
Sarà bene ricordare che le nostre
Regioni, introdotte con la Costituzione del 1948, furono attuate solo dal 1970,
ottenendo funzioni amministrative nel 1977, anno dal quale hanno dato ben
scarsa prova di efficienza gestionale ed ancor meno di creatività normativa.
In sostanza, si sono dimostrate
uno strumento non idoneo: attribuirgli compiti ulteriori ne renderà ancor più
evidente l’inidoneità.
Del resto, non vorrei mai essere un
imprenditore, libero professionista o lavoratore dipendente che, per svolgere
la sua attività anche fuori dalla Regione di residenza, sia costretto ad
assimilare tutte le “differenziate” normative, prassi amministrative od
organizzazioni territoriali delle località in cui è malcapitato. Peggio ancora per quella impresa straniera che
volesse aprire sedi in Italia, ma dovendo prima capire se sia più vantaggiosa
la legislazione dell’Umbria o del Molise.
L’ipertrofia delle normative
regionali renderà indispensabile che siano ricondotte ad un denominatore comune
ed unico, che, non potendo più essere al livello nazionale, sarà necessariamente a quello continentale.
La mia previsione è dunque che si farà ancor maggior rifermento alle norme europee: se lo slogan è avere
più Italia in Europa, il risultato finale sarà di avere più Europa in
Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, ecc., però con la soddisfazione di tutti
i sovranisti.
E se agli stessi sovranisti non
interessassero tanto le questioni legislative ma solo la possibilità di spendere
in autonomia l’importo dei tributi raccolti sul proprio territorio,
bisognerebbe dargli un’altra cattiva notizia.
Qualunque attività, per essere
gestita in modo efficiente ha bisogno di raggiungere una determinata dimensione
e di rivolgersi ad una determinata quota di utenti. E se prendiamo a
riferimento quanto accaduto sinora, dovremmo concludere che la dimensione e le
utenze delle Regioni Italiane non sono tali da consentirgli di svolgere in maniera
efficiente le funzioni attribuite.
L’esempio tipico è quello della
sanità dove, dall’attribuzione di competenze alle Regioni, le esigenze finanziarie sono
cresciute da 20.000 a 120.000 milioni di euro annui, mentre la qualità delle
prestazioni fornite è decisamente peggiorata.
Se qualcosa
del genere dovesse accadere anche per le prossime funzioni attribuite alle
Regioni, si determinerebbe l’esigenza di maggiori risorse, da reperire
attraverso tributi regionali, oppure l’emissione e collocazione di titoli di
debito.
Sempre considerando quanto sinora
accaduto, le Regioni si troverebbero ad essere debitrici di investitori
internazionali, ai quali dovrebbe essere riconosciuto quel potere di ingerenza nelle
scelte economiche che è dovuto a chi deve salvaguardare le garanzie dei propri
investimenti.
Insomma, sarebbe un altro modo
per doversi ancor più sottomettere agli “stranieri”, ma sempre con la
soddisfazione dei sovranisti.