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venerdì 13 marzo 2015

CHIARE LETTERE (13): FATTA LA LEGGE

DA "LA STAMPA" del 13 03 2015

MASSIMO GRAMELLINI
Franco Alfieri è il sindaco di Agropoli e desidera candidarsi alle elezioni regionali campane nelle liste del suo partito, il Pd. Ma una legge locale impedisce ai sindaci di farlo, decretando in caso contrario il commissariamento del Comune. Il sindaco non ha alcuna intenzione di cedere la poltrona a un funzionario statale su cui non eserciterebbe alcun controllo: vuole tenerla in caldo per il suo vice. Perciò lascia l’auto in sosta vietata. Il vigile gli fa la multa e lui si rifiuta di pagarla, impugnandola davanti all’amministrazione comunale, cioè a se stesso. Si realizza così la fattispecie prevista dal D.Lgs.18-8-2000 n.267, in base al quale l’amministratore che apre un contenzioso con il proprio ente decade dall’incarico e viene sostituito dal suo vice. 

Può darsi che la legge proibizionista disinnescata dalla furbata del sindaco di Agropoli sia una schifezza. Ma è comunque una legge e come tale andrebbe rispettata almeno da chi è tenuto a dare il buon esempio. Mentre il sindaco non solo se ne è infischiato, della norma. Si è vantato in pubblico di avere trovato un sistema per fregarla. Altrove questa operazione alla Totò gli sarebbe costata l’isolamento politico e il disprezzo degli elettori. Invece qui gli è valsa il plauso di maggioranza e opposizione, e un balzo ulteriore nei sondaggi. Non saprei trovare aneddoto migliore per illustrare l’eterno e insolubile «caso italiano». A determinare il carattere di un Paese non sono le regole, ma il consenso sociale che le circonda. E da noi quel consenso non sta certo con chi fa la legge. Semmai con chi trova l’inganno.  

venerdì 6 marzo 2015

INDEBITO ARRICCHIMENTO: PRESUPPOSTI E PRESCRIZIONE DELL’AZIONE

Il Giudice di Pace di Roccadaspide riepiloga i presupposti dell’indebito arricchimento ed i criteri della connessa azione giurisdizionale di ripetizione, a cominciare dal carattere sussidiario della medesima.
In riferimento al criterio della riconosciuta utilità dell’opera che abbia determinato l’arricchimento la giurisprudenza di legittimità ha attenuato ogni possibile rigidità nell’applicazione dell’art. 2041 cod. civ.
Con la sentenza della sez. III, 21 04 2011 n° 9141, la Cassazione Civile ha infatti chiarito come la regola di diritto comune “nemo locupletare potest cum aliena iactura” debba avere una applicazione paritaria: dunque senza sostanzialmente distinguere la pretesa avanzata nei confronti di un privato da quella avanzata verso una Pubblica Amministrazione.
In questo senso il rimedio contro l’indebito arricchimento dovrà estendersi ad un ampia sfera di fattispecie, ammettendosi anche che il riconoscimento da parte dell’Ente dell’utilità dell’opera si realizzi con la mera utilizzazione della stessa (Così Cass. Civ., 18 06 2008 n° 16596).
Nella stessa ottica si ritiene di ridimensionare la necessità di un riconoscimento da parte degli organi formalmente qualificati alla rappresentanza dell’Ente (V. Cass. Civ., 02 09 2005 n° 17703).
E ci si è spinti ad affermare che il giudizio sulla utilità dell’opera, sebbene riservato alla pubblica amministrazione, può  essere formulato, in sostituzione di questa, anche dal giudice chiamato a decidere sull’azione di arricchimento (Cass. Civ.. 16 05 2006 n° 11368; 02 09 2005 n° 17703)
Il Giudice di legittimità (sempre nella sentenza 9141/2011) ha ben chiarito le finalità per cui estendere l’ammissibilità dell’art. 2041 cod. civ. nei confronti degli Enti Pubblici, affermando che in questo modo si accolgono “opzioni ermeneutiche più aderenti ai principi costituzionali e a quelli specifici della materia, posto che il richiedere sempre e comunque comportamenti inequivocabilmente asseverativi dell’utilità dell’opera o della prestazione da parte degli organi rappresentativi dell’ente, è scelta interpretativa che depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere indennizzato dell’impoverimento subito, svuotando di fatto i poteri di accertamento del giudice  (…) In realtà  il criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l’affidamento al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull’intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell’utilità dell’opus, utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di imbrigliare l’ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi predefiniti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia adeguata e congrua motivazione (….) la mera utilizzazione dell’opera o di una prestazione da parte di un ente pubblico può, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, integrare il riconoscimento implicito dell’utilità della stessa (…) a fronte di una utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta, di fatto, l’utilità dell’opera o della prestazione, conseguentemente formulando, in via sostitutiva, il relativo giudizio
Con riferimento poi alla prescrizione dell’azione, ai sensi dell’art. 2944 cod. civ., questa è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.
La norma non specifica le caratteristiche formali dell’atto di riconoscimento di debito, la cui individuazione è dunque rimessa all’apprezzamento del Giudicante.
E la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del debitore” (Così, ex multis, Cass. Civ., sez. VI, 02 12 2010 n° 24555).
La giurisprudenza di legittimità ha anche  stabilito che “”in tema di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ., la sentenza di condanna la pagamento dell’indennizzo non ha natura costitutiva, in quanto il diritto del depauperato sorge non dal comando del giudice ma per effetto e dal momento dell’arricchimento altrui e trova giustificazione dell’esigenza di riparare uno squilibrio che si è manifestato in tale momento. Con la conseguenza che, traendo origine detto diritto dallo spostamento patrimoniale ingiustificato, per interrompere la prescrizione non è necessaria la relativa domanda giudiziale ma è sufficiente, secondo la regola dell’art. 2943 IV comma c.c., qualsiasi atto contenente la chiara volontà del creditore di ottenere i soddisfacimento del proprio diritto: atto che la sentenza impugnata ha ravvisato in ciascuna delle tre lettere inviate dall’impresa edile (…) ritenendo ciascuna di esse idonea ad interrompere la prescrizione del diritto preteso dall’appaltatore” (Così Cass. Civ., sez. I, 02 07 2003 n° 104109).