Il Giudice di
Pace di Roccadaspide riepiloga i presupposti dell’indebito arricchimento ed i
criteri della connessa azione giurisdizionale di ripetizione, a cominciare dal
carattere sussidiario della medesima.
In riferimento
al criterio della riconosciuta utilità dell’opera che abbia determinato
l’arricchimento la giurisprudenza di legittimità ha attenuato ogni possibile
rigidità nell’applicazione dell’art. 2041 cod. civ.
Con la sentenza
della sez. III, 21 04 2011 n° 9141, la Cassazione Civile
ha infatti chiarito come la regola di diritto comune “nemo locupletare potest cum
aliena iactura” debba avere una applicazione paritaria: dunque
senza sostanzialmente distinguere la pretesa avanzata nei confronti di un
privato da quella avanzata verso una Pubblica Amministrazione.
In questo senso
il rimedio contro l’indebito arricchimento dovrà estendersi ad un ampia sfera
di fattispecie, ammettendosi anche che il riconoscimento da parte dell’Ente
dell’utilità dell’opera si realizzi con la mera utilizzazione della stessa
(Così Cass. Civ., 18 06 2008 n° 16596).
Nella stessa
ottica si ritiene di ridimensionare la necessità di un riconoscimento da parte
degli organi formalmente qualificati alla rappresentanza dell’Ente (V. Cass.
Civ., 02 09 2005 n° 17703).
E ci si è spinti
ad affermare che il giudizio sulla
utilità dell’opera, sebbene riservato alla pubblica amministrazione, può essere formulato, in sostituzione di questa,
anche dal giudice chiamato a decidere sull’azione di arricchimento (Cass.
Civ.. 16 05 2006 n° 11368; 02 09 2005 n° 17703)
Il Giudice di
legittimità (sempre nella sentenza 9141/2011) ha ben chiarito le finalità per
cui estendere l’ammissibilità dell’art. 2041 cod. civ. nei confronti degli Enti
Pubblici, affermando che in questo modo si accolgono “opzioni ermeneutiche più aderenti ai principi costituzionali e a quelli
specifici della materia, posto che il richiedere sempre e comunque
comportamenti inequivocabilmente asseverativi dell’utilità dell’opera o della
prestazione da parte degli organi rappresentativi dell’ente, è scelta
interpretativa che depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere
indennizzato dell’impoverimento subito, svuotando di fatto i poteri di
accertamento del giudice (…) In realtà il
criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l’affidamento
al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull’intervenuto
riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell’utilità dell’opus,
utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di
imbrigliare l’ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi
predefiniti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia
adeguata e congrua motivazione (….) la
mera utilizzazione dell’opera o di una prestazione da parte di un ente pubblico
può, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, integrare il
riconoscimento implicito dell’utilità della stessa (…) a fronte di una
utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente,
ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta,
di fatto, l’utilità dell’opera o della prestazione, conseguentemente formulando,
in via sostitutiva, il relativo giudizio”
Con riferimento
poi alla prescrizione dell’azione, ai sensi dell’art. 2944 cod. civ., questa è
interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il
diritto stesso può essere fatto valere.
La norma non
specifica le caratteristiche formali dell’atto di riconoscimento di debito, la
cui individuazione è dunque rimessa all’apprezzamento del Giudicante.
E la
giurisprudenza è unanime nel ritenere che “il
riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere il corso della prescrizione,
non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una
dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di
riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente
incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del debitore”
(Così, ex multis, Cass. Civ., sez.
VI, 02 12 2010 n° 24555).
La
giurisprudenza di legittimità ha anche stabilito che “”in tema di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ., la
sentenza di condanna la pagamento dell’indennizzo non ha natura costitutiva, in
quanto il diritto del depauperato sorge non dal comando del giudice ma per
effetto e dal momento dell’arricchimento altrui e trova giustificazione
dell’esigenza di riparare uno squilibrio che si è manifestato in tale momento.
Con la conseguenza che, traendo origine detto diritto dallo spostamento
patrimoniale ingiustificato, per
interrompere la prescrizione non è necessaria la relativa domanda giudiziale ma
è sufficiente, secondo la regola dell’art. 2943 IV comma c.c., qualsiasi
atto contenente la chiara volontà del creditore di ottenere i
soddisfacimento del proprio diritto: atto che la sentenza impugnata ha
ravvisato in ciascuna delle tre lettere inviate dall’impresa edile (…)
ritenendo ciascuna di esse idonea ad interrompere la prescrizione del diritto
preteso dall’appaltatore” (Così Cass. Civ., sez. I, 02 07 2003 n° 104109).