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sabato 5 novembre 2016

L'INSOPPRIMIBILE ESSENZA DEL DIRITTO



Anche la persona più equilibrata potrebbe dubitare della propria ed altrui lucidità se dovesse partecipare ad un’udienza della Corte d’Appello civile.
Ad indicare l’aula dell’udienza c’è il segnale di avvocati intrecciati attorno ad un tavolo per contendersi le paginette spillate che racchiudono “il ruolo”, ovvero l’elenco delle cause in ordine progressivo.
Leggerlo non comporta alcun beneficio, eppure c’è grande frenesia a farlo per primi, forse per sfogare amarezze represse con l’abituale: “Sono al numero centotredici! E che! Stasera devo dormire qua?”
E di dormire si rischia, non per la lunga attesa quanto per l’inutilità dell’impegno.
Siedono i giudici in coro, vestiti di toga e di noia, lieve vitalità s’impone al Presidente che “chiama” le cause, cioè urla i nomi delle parti.
Due avvocati alla volta si fanno spazio ed uno di loro recita il “può passare”, formula con cui conferma di chiedere una decisione, perché gli anni trascorsi non hanno cancellato la speranza di ottenerla.
Tutta la mattinata è impegnata da questo vacuo, assurdo, frustrante cerimoniale, in ossequio  al venerabile codice di procedura civile.
Anche stamattina sonnecchiavo, per mantenermi vigile alimentavo la fantasia di un incendio che potesse aver distrutto tutti i fascicoli, tranne il mio.
Un sussulto inatteso: entra il Procuratore Generale che si è appellato contro la concessione dello status di rifugiato ad un Pakistano.
Si discute del Punjab, dello stato di pericolo, delle ragioni umanitarie.
E nella nebulosa  routine di liti tra condomini o tra ex coniugi, questa fiammella di attività intellettuale risveglia l’interesse a comprendere ed elaborare concetti.
Forse non è del tutto inutile quello che accade tra queste mura.
Il diritto c’è, sopravviverà anche alle procedure.




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