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lunedì 8 luglio 2024

LO STATO APPARENTE (il neo-nazionalismo è anti-statalista)

Difficile credere che i leader politici, soprattutto quelli italiani, si pongano obiettivi elevati e studino le strategie per realizzarli; nella migliore delle ipotesi cercano di manipolare l’ansia del loro pubblico promettendo di alleviarla.

Ma hanno sicuramente obiettivi e strategie gli sponsor dei politici, che ne dirigono le attività con poteri meno formali e meno visibili.

I politici contemporanei, insomma, non sono altro che frenetici influencer: fotografati col pandoro in mano non hanno idea di come sia prodotto, gli basta che il committente sia solvibile.

Di questi tempi il pandoro più pubblicizzato è quello del nazionalismo, del quale si esaltano le eccellenti qualità di tradizione, identità e protezione dei confini.

A sentire la pubblicità, sembrerebbe che questo nazionalismo voglia accrescere il ruolo della Nazione, ovvero dello Stato, ma se si vanno a leggere meglio gli ingredienti del prodotto, si scopre che, forse, obiettivo dei committenti non è affatto uno Stato più forte.

E tra questi ingredienti contraddittori non c’è solo l’autonomia differenziata che, anzi, considerando i proponenti, risulterà un ingrovigliato pastrocchio, indigesto per chi lo assaggerà.

L’antistatalismo risulta da altri elementi, che nascondono questa loro nocività, ad esempio la realizzazione di un centro di accoglienza migranti in Albania.

Con questo accordo si introduce un principio decisamente anti-nazionalista, secondo il quale un organismo dello Stato può essere realizzato fuori dal territorio nazionale (ed europeo), esercitando (all’estero) un’attività di interesse nazionale con applicazione (sempre all’estero) del diritto nazionale.

Le relazioni tra Stati si fondano sul principio della reciprocità, ovvero ti consento solo ciò che anche tu consenti a me: con accordi di questo genere si introduce una deroga al principio di territorialità, con un affievolimento della sovranità esclusiva dello Stato sul suo territorio: non è escluso che il principio in futuro risulti dannoso proprio per la Nazione che oggi tanto se ne vanta.

Altro elemento di anti-statalismo è l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio. Pochi hanno ricordato che questo reato era stato previsto dall’art. 323 del codice penale del 1930, un codice modellato sull’ideologia fascista e perciò accusato di eccessivo autoritarismo. In particolare, l’art.323 era inserito nel titolo 2 del codice, intitolato “DEI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE” perché il bene giuridico che si intendeva proteggere era il buon andamento della Pubblica Amministrazione: abolire questo reato significa avere una Pubblica Amministrazione (cioè uno Stato) meno protetta.

Passiamo all’economia: lo scorso 1 luglio è stata venduta ad una finanziaria statunitense l’intera rete italiana delle linee telefoniche e dei cavi di fibra ottica per la trasmissione dati: se immaginavamo che lo statalismo si manifestasse anche attraverso la creazione o l’acquisizione di attività economiche, soprattutto se strategiche, dobbiamo concludere che stiamo andando in tutt’altra direzione.

In conclusione, a leggere con attenzione gli ingredienti, non sembra proprio che il pandoro del nazionalismo abbia l’obiettivo di rafforzare lo Stato. Forse agli sponsor è più gradito uno Stato debole, magari con un governo forte, in modo da dover contrattare solo con questo, senza la molesta interferenza del resto dello Stato: il Parlamento, la Magistratura, l’Informazione…


 

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