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lunedì 27 gennaio 2014

STAGIONE DI CACCIA


Sfogliando un giornale mi colpisce la pubblicità di questa società che propone di assistere i professionisti nella vendita della loro attività.
L’annuncio è accompagnato dalla foto di un cinquantenne calvo con le borse sotto gli occhi ed un sorriso stentato.
Presumo che l’immagine voglia rappresentare il professionista che deve vendere e non quello che in ciò lo assisterebbe, perché altrimenti l’intento promozionale mi sembrerebbe fallito.
Dunque, in questo funereo clima di crisi economica, pure si manifesta un mercato interessato agli studi professionali.
Ma cosa si vende?
I clienti non sono trasferibili, anzi, per la precisione non sono trattenibili e possono in qualunque momento essere acquisiti offrendogli servizi più convenienti.
Con lo sviluppo delle comunicazioni telematiche anche la posizione logistica diventa sempre meno rilevante.
La professionalità è un concetto astratto, difficile assicurarsela pagando un prezzo.
Parlare di avviamento mi sembrerebbe improprio, irrealistico poi in tempo di crisi.
Ma allora cosa si vende, cosa si vuole acquistare?
Per me l’unico valore che uno studio professionale conserva è la sua divergenza, la distanza dalle modalità consolidate ed applicate in modo consuetudinario.
Credo sia l’unica cosa che interessi acquisire, magari per sopprimerla se disturbasse troppo la standardizzazione delle procedure.
Per chi vuole conservarla si fa intravedere il pericolo di somigliare a quello della foto: senza capelli, senza cravatta e probabilmente senza più illusioni.

Dice il proverbio che chi disprezza vuol comprare, ma il professionista non può vendere ciò che non è suo, ovvero la libertà per tutti di farsi assistere  da chi gli pare, anche se ha una faccia da sfigato. 

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