La
sentenza qui riportata chiarisce un rilevante principio relativo alle istanze
avanzate dai pubblici dipendenti perché sia dichiarata la dipendenza da causa
di servizio di una loro infermità.
Gli
organismi incaricati di dichiarare tale dipendenza molto spesso si avvalgono di
clausole generiche per negarne l’esistenza.
Ma
il Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza del 25 07 2006 n° 4624, ha chiarito che “l’esistenza di un carattere endogeno e
costituzionale della malattia o la predisposizione ad essa non possono essere
di ostacolo all’eventuale riconoscimento della causa di servizio, dovendosi
poter escludere con certezza che il servizio abbia provocato l’episodio acuto”
Sulla
scorta di tale principio il T.A.R. della Campania, sez. I di Salerno, con sentenza
n° 2221/2013 aveva già dichiarato l’insufficienza motivazionale del
provvedimento che, per escludere il nesso eziologico tra patologia ed attività
lavorativa, si limiti ad evocare le condizioni generiche che potrebbero aver
determinato la patologia.
Infatti
“qualora sia da escludere l’esistenza,
all’origine dell’infermità, di effettivi fattori predisponenti individuali e,
nel contempo, il servizio prestato presenti oggettivi condizioni di surmenage,
la sussistenza tra la patologia e l’attività lavorativa di un nesso causale o
concausale non può che risultare accreditato, se non su un piano di certezza
(difficilmente raggiungibile in tali ipotesi), quantomeno di seria
verosimiglianza.”
Nella
fattispecie decisa dalla suddetta sentenza, “nonostante
il ricorrente avesse, nella domanda presentata, analiticamente precisato le
modalità di svolgimento del servizio tali da attribuirgli, nella sua
prospettiva, carattere particolarmente stressante, l’Amministrazione non ha
proceduto ad una congrua verifica finalizzata ad accertare (…) l’incidenza
causale o concausale sull’insorgenza della patologia de qua, limitandosi ad
affermare, del tutto tautologicamente, l’assenza di situazioni …”
In
queste ipotesi il Giudice Amministrativo rileva che, per il diniego, “la sua insufficienza motivazionale
scaturisce, in primo luogo, dalla sua palese genericità, sia perché i possibili
fattori causali alternativi di carattere individuale, tali da provocare
astrattamente l’insorgenza dell’infermità, non sono puntualmente indicati, sia
perché nessuno sforzo istruttorio o motivazionale è stato compiuto
dall’Amministrazione”.
Peraltro
il Consiglio di Stato, sez IV, con decisione n° 4476 del 06 08 2012, ha ritenuto che il comitato di verifica per
le cause di servizio ha comunque il dovere, in applicazione dei principi
generali fissati dall’art. 3 L .
241/1990, di prendere in esame tutte le variabili suscettibili di determinare
l’insorgenza della malattia, verificando con puntualità se l’attività
lavorativa abbia costituito o meno un rischio specifico.
Il
precedente orientamento giurisprudenziale che considerava prevalente il parere
espresso dal Comitato di Verifica, tale orientamento è stato minato da quelle pronunce
(Cfr. T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, n° 25/2013) che distinguono le
diverse antinomie riscontrabili tra i pareri espressi nel procedimento in
fattispecie.
Se
infatti il contrasto concerne il giudizio espresso dalla Commissione Medica
rispetto a quello espresso dal Comitato di Verifica, si dovrà attribuire
prevalenza a quest’ultimo, in ragione della peculiare composizione e
specializzazione.
Ma
quando invece, come nel caso concreto, si censura per difetto/errore
motivazionale, sulla scorta di un parere medico-legale, proprio il giudizio del
Comitato di Verifica, allora “è necessario che il sindacato del giudice
amministrativo non si arresti di fronte ad una precostituita presunzione di
preferibilità del giudizio tecnico rispetto a quello di parte, perché ciò
produrrebbe evidenti ed incontrollabili vuoti di tutela” (Cfr. anche
TAR Reggio Calabria, ord. n° 349 del 20 04 2011, sentenza n° 353 del 10 03
2011; n° 457 del 25 05 2011 e ord. n° 205 del 07 03 2012).
E’
opportuno, sul punto, sottolineare che l’effettività della tutela
giurisdizionale può ritenersi garantita solo se il sindacato sull’esercizio della
discrezionalità tecnico-amministrativa non sia meramente estrinseco, ossia
limitato ad una verifica superficiale sull’assenza di palese travisamento e
manifesta illogicità. La giurisprudenza amministrativa ha infatti negato l’equazione
tra discrezionalità tecnica e merito insindacabile (Cfr. TAR LAZIO, ROMA, sez.
II, 23 07 2012 n° 6798), ritenendo invece che il sindacato giurisdizionale
sugli apprezzamenti tecnici della Pubblica Amministrazione debba svolgersi non
come mero controllo formale dell’iter logico seguito ma mediante verifica
diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche, potendo il giudice
utilizzare lo strumento della verificazione di cui all’art. 66 D.Lgs. 104/2010.
Nella
fattispecie concreta il ricorrente, con perizia medica di parte, aveva
prospettato la riconducibilità della sua patologia allo specifico servizio
prestato, per le peculiari caratteristiche di impegno fisico cui era stato
sottoposto.
Il
provvedimento di diniego si era limitato
a ricondurre l’insorgere della patologia alle condizioni soggettive del
ricorrente ma con formule generiche ed approssimative.
Tali
modalità non sono rispettose del
principio secondo il quale il provvedimento che nega la dipendenza da causa di
servizio deve basarsi su “indagini di
fatto dirette a valutare il tipo di infermità, l’ambiente nel quale l’attività
lavorativa viene prestata e la sua connessione con l’insorgere della malattia”
(Cfr. TAR Sicilia, sez. III, 12 06 2012 n° 1522; TAR LAZIO, Roma, sez. IIIbis,
28 06 2006 n° 5304).
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