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martedì 24 novembre 2015

NON TI PAGO! (la Provincia elude i suoi debiti, col consenso della Legge)

 

Il Sacro Graal, l'anello di Re Salomone, addirittura lo scafo del Titanic:  tutto si può sperare di recuperare ma non un credito, in Italia, se il debitore e' un Ente Pubblico.

Questo se si vogliono utilizzare i metodi consentiti dalla Legge.

La Legge, del resto, la fanno i parlamentari, ognuno già assessore regionale, provinciale o comunale, se non lo è stato lo sarà, se non lui qualche suo figlio, nipote, cugino, cognato, igienista dentale.

Comprensibile dunque siano state introdotte cautele contro creditori attuali e futuri, cautele che poi funzionano, smentendo le dicerie sul legislatore inetto.

Dunque, se avanzate denaro da un Ente Pubblico, immaginate di averci comprato il biglietto per una bizzarra lotteria, di cui non sapete se e quando si effettuerà l'estrazione.

Innanzitutto, per chiedere il pagamento ad un Ente bisogna attendere 120 giorni, che non potete cominciare ad attendere se il pagamento non e' già stato chiesto: è come prendere al supermercato un chilo di mele ed al cassiere che chiede 3 euro rispondere: "Bene, aspetta 120 giorni, poi richiedimeli".

Inoltre, mentre i soldi che avete sul conto corrente possono essere pignorati (cioè bloccati) dai vostri creditori, quelli dell'Ente no, ed anche depositi per milioni di euro sono solo il montepremi di quell'improbabile lotteria.

Un esempio pratico: ho chiesto di pignorare somme sul conto della Provincia di Salerno, la Banca mi risponde (VEDI IMMAGINE ALLEGATA) che sul conto ci sono più di 79 MILIONI DI EURO (!!!) ma non sono pignorabili: lo ha deciso la Provincia con una sua delibera di luglio.

Com'è possibile?

Il meccanismo è questo: la Legge (art 159 D.lvo 267/2000) attribuisce agli Enti il potere di dichiarare non pignorabili le somme necessarie ogni semestre per stipendi, mutui e "espletamento dei servizi locali indispensabili".

L'Ente, allora, dichiara che ogni euro avanzato da stipendi e mutui serve appunto ai "servizi locali indispensabili", dunque i creditori non possono toccarlo.

Difficile credere che la Provincia spenda in 6 mesi 79 milioni di euro per adempimenti indispensabili, anche perché, nello stesso periodo,  spende “solo” 5 milioni in stipendi e 12 milioni  in mutui, come la stessa Provincia attesta nella sua delibera di giugno (VEDI IMMAGINE ALLEGATA)

 
 

E a che fine fanno in sei mesi gli altri 65 milioni di euro? Sono veramente spesi per servizi locali indispensabili? E quali? Ma non si era detto che le Provincie avrebbero progressivamente perso le loro funzioni? E i servizi locali indispensabili costano in un anno 130 milioni di euro?

A tutte queste domande gli organismi provinciali, sottratti a qualunque altro controllo, danno alla fine un’unica risposta:

NON TI PAGO!



lunedì 7 settembre 2015

CHIARE LETTERE (16)



«È una rivoluzione radicale: solo un pensiero creativo gestirà società multiformi»

di Danilo Taino dal CORRIERE DELLA SERA del 07 07 2015


BERLINO - Con la marea di profughi oggi in movimento, è iniziata una rivoluzione che trasformerà alla radice non solo la Germania ma l’intera Europa. «Da Paesi relativamente omogenei a entità multinazionali», dice Michael Wolffsohn. Ci aspettano un impegno e un cambiamento portentosi. Subito, gestire gli arrivi e dare asilo; nel medio e lungo periodo, per integrare i rifugiati: a ciò non c’è alternativa. Ma occorre anche sviluppare un «pensiero creativo» che oggi non c’è per Paesi disomogenei che saranno sempre fonte di profughi, senza un ordine nuovo: Siria, Afghanistan, Libia e in futuro altri. Wolffsohn, 68 anni, storico molto ascoltato in Germania, ha insegnato fino a tre anni fa alla Universität der Bundeswehr a Monaco.

Professore, sorprendente questa Germania che abbraccia i rifugiati.
«Sorprendente per chi non la conosce. Per chi la immagina ancora un Paese militarista e xenofobo. Ma è cambiata totalmente. Però starei attento. I sondaggi d’opinione dicono che buona parte dei tedeschi è scettica su questi arrivi. Non per xenofobia ma per il timore degli enormi cambiamenti che produrranno. È in corso una rivoluzione, non solo in Germania».
Da quando la Germania è cambiata?
«Il punto di svolta, dimostrato scientificamente, è tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943, tra le sconfitte a El Alamein, a Stalingrado e in Marocco. Da quel momento c’è un declino dell’ideologia nazista tra i tedeschi, che accelera dopo il 1945 e arriva a stabilizzarsi nella prima metà degli Anni Sessanta. Oggi è un Paese che ha interiorizzato stabilmente la democrazia».
Lei parla di rivoluzione. È pronta la Germania?
«Non è un problema solo tedesco, è europeo. Economicamente, sì: l’Europa è in grado di affrontare gli arrivi. Nel lungo periodo i problemi sono seri. Si tratta di realizzare una transizione pacifica verso società eterogenee e multinazionali».
Come vede questa transizione?
«L’Islam diventerà moderno. Anche le rifugiate che arrivano in Europa con il foulard ormai si sono rese conto di cosa sia l’Islam radicale dal quale fuggono. Vengono in Europa perché quell’Islam è insopportabile e inumano. In più, si rendono conto che i Paesi arabi, i sauditi, i kuwaitiani, anche se ricchi non danno loro rifugio. Nel lungo periodo i profughi costruiranno un Islam umano, in Europa. Questo è il lato positivo».
Quello negativo?
«L’Europa diventerà in molti casi teatro di guerra tra questi due Islam, tra chi lo vuole umano e i radicali, già presenti sul nostro territorio, che non lo vogliono permettere».
Quindi l’integrazione è in qualche modo possibile.
«Per ora che il collasso riguarda la Siria, l’Afghanistan. Ma questo è solo l’inizio: sarà impossibile integrare, economicamente e mentalmente, i profughi quando crolleranno l’Egitto, la Libia, la Tunisia. Serve subito da parte dell’Europa e dell’Occidente un’intelligenza, un pensiero creativo per la pace: oggi non c’è. Ora è il momento di pensare al futuro, per rifare i Paesi che stanno crollando o stanno per crollare».
Ridisegnare la mappa del Medio Oriente? Come?
«Questi Paesi disegnati alla fine della Prima e Seconda guerra mondiale hanno minoranze che sono represse e oggi sono costrette a fuggire. Si tratta di costruzioni che non possono più funzionare. Dobbiamo aiutarli e spingerli verso un nuovo ordine. Ciò può avvenire solo dal loro interno, devono realizzarlo da soli creando entità federali, con diritti delle minoranze, sulla base del principio di autodeterminazione. Non c’è alternativa. Ma dobbiamo avere un pensiero, una strategia per spingerli. Abbiamo parlato per anni del conflitto tra Israele e palestinesi ma oggi ci accorgiamo che non c’entra nulla con le masse in movimento in cerca di rifugio».

sabato 8 agosto 2015

FRANCESCO MAINO: CARTONGESSO (EINAUDI, 2014)



"noi siamo dei tecnici, gli applicatori acritici di norme grossolane, titolari o graduati che svolgono compiti tecnici, esautorati d'ogni forza morale, privi di passione civile. La maggior parte degli avvocati potrebbe fare tranquillamente i cartongessisti, gli idraulici, gli avvitatori, i pannellisti, gli impagliatori, gli imbalsamatori, gli assassini, i direttori di campi da lavoro, i fresatori, i tornitori, i vendemmiatori, i mugnai, eccetera, ma fanno questo lavoro, il lavoro dell'avvocato, con lo stesso pragmatismo tecnico dell'elettricista, lo hanno scelto unicamente per il fatto che i guadagni apparivano potenzialmente molto più alti, tra le professioni liberali, rispetto a quelle cosiddette manuali; non vi è più differenza d'approccio tra diritto e cartongesso, codici e malte, toga e cazzuola, io vergo d'altronde valanghe di atti con mero sforzo fisico-manuale, atti cui non credo e che sono funzionali al risultato tecnico auspicato o meglio impostomi dai clienti nemici, non mi è richiesta una conoscenza culturalmente avanzata in termini di umanesimo, un sapere inutile, mi è richiesto un sapere tecnico, di basso profilo, utile a risolvere una grana o ad abbattere l'ostacolo che impedisce il raggiungimento dell'obiettivo sconcio del cliente, il più delle volte un obiettivo illegittimo o illecito, dotato di una patente di conformità. L'economicità della professione, sul piano del lucro, fa la differenza rispetto a tutto; il capitale considera la manodopera solo se serve alla produzione: dunque noi non esistiamo, siamo come l'ultimo dei parrocchiani, e i colleghi non hanno compreso il significato di questo sconvolgimento antropologico. Noi ci siamo estinti, come umanisti, e non lo comprendiamo. È estinta la funzione che abbiamo sempre difeso. È estinta la nostra vita professionale. La toga è un'icona del passato, puro simbolismo, o folklore pacchiano"

mercoledì 8 luglio 2015

IL POTERE ESECUTIVO-SEDATIVO


 
 
Ad opinione del mio barbiere Enzo, le strategie comunicative altro non sono che metodi per nascondere la verità  -  lui usa l’espressione:  “prendere per il c…” -

La verità, in effetti, dovrebbe avere in sé la forza di imporsi, anche in assenza di elaborate tecniche di comunicazione.

Non la pensa come Enzo il nostro Presidente del Consiglio, che ha appena convocato i dirigenti del suo partito,  bacchettandoli per come partecipano ai talk-show e suggerendogli i modi migliori per vendere il loro prodotto.

Il Presidente era in veste di esperto, considerando che sta svolgendo un ruolo decisivo nelle democrazie contemporanee: vendere la sensazione di sicurezza.

Le leggi, da sole, non danno sicurezza ai cittadini: sono parole su carta che necessitano di trovare attuazione concreta;  nemmeno bastano a dare sicurezza i provvedimenti del Governo, che  non hanno immediati effetti diffusi.

L’esistenza di uno Stato Nazionale che garantisce i diritti dei suoi abitanti, con un Governo che ne soddisfa i bisogni è una convinzione indotta che deve trovare conferme quotidiane,  ed a questo non sono sufficienti le Gazzette Ufficiali, servono stimoli più immediati, magari superficiali ma continui e suggestivi, fino alla persuasione.

Infatti  il nostro Primo Ministro impegna la maggior parte del suo tempo in interviste televisive, radiofoniche, messaggi telematici ed ogni altra forma, appunto, di “comunicazione”.

Questo non è trascurare il compito di Governare una Nazione, anzi è l’unico modo per farlo, persuadendo  i cittadini che le opportunità lavorative aumentano, i servizi migliorano, la sicurezza è garantita, ci sono più soldi per tutti.

Solo diffondendo queste convinzioni i cittadini continueranno a credere che entità immateriali come lo Stato, la Legge, la Giustizia, non appartengano solo al mondo platonico delle idee ma che abbiano una loro concretezza quasi tangibile, e, soprattutto, un’Autorità alla quale sottoporsi.

Sarebbe altrimenti difficile individuare lo Stato,  se  le frontiere naturali non ostacolano più il passaggio di persone, merci o informazioni ed i tradizionali presidii territoriali di Caserme, Ospedali, Scuole si riducono ogni giorno, anzi, scusate, si “razionalizzano”.

A mantenerci ancora uniti, credendoci parte di una Collettività razionalmente organizzata ed ispirata ad elevati principi ideali, sono ormai solo le certezze dispensate con frasi chiare e decise dal nostro Primo Ministro.

Spero tanto che il mio barbiere si sbagli.

mercoledì 1 luglio 2015

IL DIRITTO FOSSILE

- Arrivando a dominare i Greci, i Romani utilizzarono il diritto, anzichè la scienza, come strumento di controllo della società -


E' questa una delle originali ed acculturate tesi del Prof. Lucio Russo, fisico e filosofo della scienza.

Non sono in grado di misurarne la fondatezza, ma è indiscutibile che la formazione di un Impero richiedesse, oltre ad una organizzazione amministrativa e militare, anche la diffusione di procedure funzionali a trasmettere valori e comandi dall'Urbe alle sue remote periferie.

Il diritto dunque come un software per uniformare i comportamenti dei sudditi ai modelli individuati, e con il potere politico nel ruolo di programmatore, che utilizza magistrati ed avvocati come hardware. L'incremento dei dati da elaborare richiederà un software sempre più efficiente; non a caso la tecnica giuridica si perfeziona sotto l'Impero Asburgico e raggiunge la sua massima espressione durante l'età Napoleonica.

Diffusi attraverso l'insegnamento accademico e le prassi burocratiche, i principi della logica giuridica consentono di gestire, con efficienza di mezzi, le attività svolte su quel territorio che il potere politico intende controllare.

Questo potrebbe spiegare l'attuale, molto evidente, fenomeno della crisi di efficienza del diritto: manca un soggetto politico individuabile che sia interessato al controllo di una limitata area territoriale.

Le scelte politiche sono riconducibili ai soggetti più autorevoli, e questi non sono più gli Stati territoriali ma le reti di relazioni economiche, con ambito transnazionale. La legittimazione non deriva più dalle vittorie belliche o dal consenso elettorale ma dalla capacità di movimentare le risorse finanziarie, e senza le limitazioni fisiche dei confini politici.

Le società multinazionali di capitali effettuano più transazioni economiche degli Stati e su territori più vasti, come potrebbe una Nazione imporgli valori con i canonici meccanismi giuridici, che prevedono criteri ormai inapplicabili quali la competenza territoriale?

Per conformare le condotte agli standards più opportuni, le nuove autorità  utilizzano strumenti incisivi come la persuasione pubblicitaria, nelle forme più o meno palesi in cui può esercitarsi.

Le eventuali, residue, conflittualità vengono internalizzate e trasferite alle società assicurative , che ne compensano il rischio, oppure sono rimesse a meccanismi di conciliazione stragiudiziale che, deformalizzando procedure e principi, prospettano una maggiore efficienza.

Il software delle tecniche giuridiche classiche è ormai desueto ed inutilizzabile, al pari del vecchio MS-dos, così avvocati e magistrati vanno mestamente verso l'obsolescenza.

Agli Stati nazionali restano i giudizi penali o quelli civili molto marginali, di scarsa rilevanza economica, ma questo contenzioso non giustifica un rilevante investimento di risorse, dunque gli Stati disincentivano i giudizi civili sottoponendoli a procedure dilatorie e riducono i giudizi penali con misure di depenalizzazione o che favoriscano la prescrizione.

Udienze, citazioni, precetti sono reperti fossili: i nuovi strumenti saranno più efficaci? E saranno utilizzabili da tutti?

sabato 13 giugno 2015

L'I.P.A. FUNESTA

Avere lo studio a quaranta chilometri dal più vicino Tribunale mi costringe a percorrere ottanta chilometri per depositare anche  un solo foglio in formato A4.
Normale che l'introduzione della trasmissione telematica per gli atti processuali mi abbia entusiasmato: finalmente per spostare le parole non avrei dovuto accompagnarle di persona!
Ma l'entusiasmo, sentimento fugace, per noi italiani ha l'effimera consistenza dell'illusione.
Ho tollerato l'adozione, tra tutti i sistemi informatici possibili, di quelli più macchinosi, più lenti, meno intuitivi, ma non riesco a tollerare il ridicolo delle notifiche telematiche alle Amministrazioni Pubbliche.
Senza entrare nei dettagli di una materia inutilmente complicata, mi limito ad avvisare che queste notifiche sono impossibili perché l'indirizzo del destinatario si trova solo nell'elenco eliminato.
Gli indirizzi e-mail certificati delle Pubbliche Amministrazioni non sono reperibili nel registro indicato dalla legge ma in un altro registro, sempre indicato dalla legge, ma che, dall'agosto 2014, non è più utilizzabile per le notifiche telematiche.
Dunque, anche se l'indirizzo non cambia ed è contenuto in un registro pubblico denominato proprio I.P.A. (Indice delle Pubbliche Amministrazioni), se vi azzardate ad usarlo per una notifica, questa sarà considerata nulla.
E stamattina in Tribunale il Magistrato mi diceva: "Avvocato, ma questa notifica al Comune non sarebbe stato meglio farla in cartaceo, come al solito?"
Osservazione ragionevole e cortese, non avrei mai potuto rispondere: "Ha ragione, qui dentro non dobbiamo mai sforzarci di trovare una logica nelle leggi"

venerdì 5 giugno 2015

LE FALLE DEI TECNICI


L'elezione nella Regione Campania del Governatore De Luca ha rivelato come i legislatori italiani non siano più idonei al loro compito.
il Governatore, secondo le norme della cosiddetta "Legge Severino" dovrebbe infatti essere sospeso dalle sue funzioni, ma queste norme sono scritte così male che nessuno ha saputo chiarire come adoperarle nei confronti del neo-eletto.
Tutti sono però concordi nell'affermare che "c'è una falla nella Severino!"
E della falla non può nemmeno essere incolpato quel multicolore Parlamento Italiano troppo abituato ad emendare ed ingarbugliare i testi delle leggi.
La "Severino" e' prodotto esclusivo del Governo Monti, dal momento che il Parlamento, con legge-delega, rimise proprio a quel Governo il compito di elaborarla.
Governo, ricordiamolo, non di bassa politica ma "tecnico", composto solo di insigni accademici e lodati professionisti.
E dunque, in questa aristocratica congrega, nessuno che sapesse scrivere una norma?
L'ipotesi è talmente sconfortante che sarebbe quasi un sollievo scoprire sia stata scritta male apposta, pur di non applicarla.
Fu dunque dolo? Oppure ignoranza?
Per rispondere occorrerebbe consultare un tecnico

martedì 2 giugno 2015

CHIARE LETTERE (15) Se l'Universita' deve insegnare la grammatica ai futuri giuristi

PAOLO DE STEFANO su "IL CORRIERE DELLA SERA" del 02 06 2015
Ci voleva un dipartimento universitario di giurisprudenza per fare esplodere l’urgenza di rimediare all’impreparazione linguistica dei ragazzi appena usciti dalle scuole. A Pisa un’insegnante di diritto, Eleonora Sirsi, in collaborazione con il linguista ed ex presidente della Crusca Francesco Sabatini, ha rotto gli indugi, stanca di leggere le tesi scorrette dei suoi allievi. Non imprecise o lacunose sul piano concettuale, ma deficitarie sul piano della lingua italiana. Anacoluti, distorsioni, pleonasmi, reggenze sbagliate, sviste lessicali, incapacità di usare la punteggiatura. Per non dire del deficit grammaticale e sintattico che emerge dai concorsi pubblici. Un disastro. Ed è significativo che siano i giuristi a prendere provvedimenti urgenti al riguardo: il fatto è che per un avvocato, come per un magistrato o per un legislatore, l’uso consapevole e corretto della lingua non è un capriccio superfluo, ma è parte integrante e irrinunciabile della pratica professionale. Vale cioè esattamente quanto la conoscenza del codice penale o di quello civile. 
Vista la gravità della situazione, si è trovato un solo provvedimento utile a rimediare alla deriva linguistica: tornare all’ABC, cioè alle nozioni fondamentali. E allora viene programmato, per il terzo o per il quarto anno di studio (si partirà dal nuovo anno accademico), un corso di scrittura e di grammatica della frase. Non la retorica o lo stile, ma la grammatica. Quella che sarebbe indispensabile acquisire nel percorso scolastico, tra le elementari e il liceo, e che invece viene tranquillamente elusa o trascurata in nome di altre presunte priorità. Se ci non fosse da piangere, si potrebbe anche sorridere del paradosso: tutti a riempirsi la bocca sulla necessità di imparare l’inglese e di affinare le competenze informatiche, mentre la vera emergenza è la lingua italiana. 

martedì 28 aprile 2015

CHIARE LETTERE (14) IL DISASTRO DELLE REGIONI

da "IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO" del 28 aprile 2015

venerdì 13 marzo 2015

CHIARE LETTERE (13): FATTA LA LEGGE

DA "LA STAMPA" del 13 03 2015

MASSIMO GRAMELLINI
Franco Alfieri è il sindaco di Agropoli e desidera candidarsi alle elezioni regionali campane nelle liste del suo partito, il Pd. Ma una legge locale impedisce ai sindaci di farlo, decretando in caso contrario il commissariamento del Comune. Il sindaco non ha alcuna intenzione di cedere la poltrona a un funzionario statale su cui non eserciterebbe alcun controllo: vuole tenerla in caldo per il suo vice. Perciò lascia l’auto in sosta vietata. Il vigile gli fa la multa e lui si rifiuta di pagarla, impugnandola davanti all’amministrazione comunale, cioè a se stesso. Si realizza così la fattispecie prevista dal D.Lgs.18-8-2000 n.267, in base al quale l’amministratore che apre un contenzioso con il proprio ente decade dall’incarico e viene sostituito dal suo vice. 

Può darsi che la legge proibizionista disinnescata dalla furbata del sindaco di Agropoli sia una schifezza. Ma è comunque una legge e come tale andrebbe rispettata almeno da chi è tenuto a dare il buon esempio. Mentre il sindaco non solo se ne è infischiato, della norma. Si è vantato in pubblico di avere trovato un sistema per fregarla. Altrove questa operazione alla Totò gli sarebbe costata l’isolamento politico e il disprezzo degli elettori. Invece qui gli è valsa il plauso di maggioranza e opposizione, e un balzo ulteriore nei sondaggi. Non saprei trovare aneddoto migliore per illustrare l’eterno e insolubile «caso italiano». A determinare il carattere di un Paese non sono le regole, ma il consenso sociale che le circonda. E da noi quel consenso non sta certo con chi fa la legge. Semmai con chi trova l’inganno.  

venerdì 6 marzo 2015

INDEBITO ARRICCHIMENTO: PRESUPPOSTI E PRESCRIZIONE DELL’AZIONE

Il Giudice di Pace di Roccadaspide riepiloga i presupposti dell’indebito arricchimento ed i criteri della connessa azione giurisdizionale di ripetizione, a cominciare dal carattere sussidiario della medesima.
In riferimento al criterio della riconosciuta utilità dell’opera che abbia determinato l’arricchimento la giurisprudenza di legittimità ha attenuato ogni possibile rigidità nell’applicazione dell’art. 2041 cod. civ.
Con la sentenza della sez. III, 21 04 2011 n° 9141, la Cassazione Civile ha infatti chiarito come la regola di diritto comune “nemo locupletare potest cum aliena iactura” debba avere una applicazione paritaria: dunque senza sostanzialmente distinguere la pretesa avanzata nei confronti di un privato da quella avanzata verso una Pubblica Amministrazione.
In questo senso il rimedio contro l’indebito arricchimento dovrà estendersi ad un ampia sfera di fattispecie, ammettendosi anche che il riconoscimento da parte dell’Ente dell’utilità dell’opera si realizzi con la mera utilizzazione della stessa (Così Cass. Civ., 18 06 2008 n° 16596).
Nella stessa ottica si ritiene di ridimensionare la necessità di un riconoscimento da parte degli organi formalmente qualificati alla rappresentanza dell’Ente (V. Cass. Civ., 02 09 2005 n° 17703).
E ci si è spinti ad affermare che il giudizio sulla utilità dell’opera, sebbene riservato alla pubblica amministrazione, può  essere formulato, in sostituzione di questa, anche dal giudice chiamato a decidere sull’azione di arricchimento (Cass. Civ.. 16 05 2006 n° 11368; 02 09 2005 n° 17703)
Il Giudice di legittimità (sempre nella sentenza 9141/2011) ha ben chiarito le finalità per cui estendere l’ammissibilità dell’art. 2041 cod. civ. nei confronti degli Enti Pubblici, affermando che in questo modo si accolgono “opzioni ermeneutiche più aderenti ai principi costituzionali e a quelli specifici della materia, posto che il richiedere sempre e comunque comportamenti inequivocabilmente asseverativi dell’utilità dell’opera o della prestazione da parte degli organi rappresentativi dell’ente, è scelta interpretativa che depotenzia fortemente il diritto del privato ad essere indennizzato dell’impoverimento subito, svuotando di fatto i poteri di accertamento del giudice  (…) In realtà  il criterio idoneo a mediare tra tutti gli interessi in conflitto è l’affidamento al saggio apprezzamento del giudice dello scrutinio sull’intervenuto riconoscimento ovvero la valutazione, in fatto, dell’utilità dell’opus, utilità desunta dal contesto fattuale di riferimento, senza pretendere di imbrigliare l’ineliminabile discrezionalità del relativo giudizio in schemi predefiniti, ma solo esigendo che del suo convincimento il decidente dia adeguata e congrua motivazione (….) la mera utilizzazione dell’opera o di una prestazione da parte di un ente pubblico può, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, integrare il riconoscimento implicito dell’utilità della stessa (…) a fronte di una utilizzazione non attuata direttamente dagli organi rappresentativi dell’ente, ma da questi sostanzialmente assentita, il giudice può ritenere riconosciuta, di fatto, l’utilità dell’opera o della prestazione, conseguentemente formulando, in via sostitutiva, il relativo giudizio
Con riferimento poi alla prescrizione dell’azione, ai sensi dell’art. 2944 cod. civ., questa è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere.
La norma non specifica le caratteristiche formali dell’atto di riconoscimento di debito, la cui individuazione è dunque rimessa all’apprezzamento del Giudicante.
E la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “il riconoscimento del diritto, idoneo ad interrompere il corso della prescrizione, non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del debitore” (Così, ex multis, Cass. Civ., sez. VI, 02 12 2010 n° 24555).
La giurisprudenza di legittimità ha anche  stabilito che “”in tema di arricchimento senza causa ex art. 2041 cod. civ., la sentenza di condanna la pagamento dell’indennizzo non ha natura costitutiva, in quanto il diritto del depauperato sorge non dal comando del giudice ma per effetto e dal momento dell’arricchimento altrui e trova giustificazione dell’esigenza di riparare uno squilibrio che si è manifestato in tale momento. Con la conseguenza che, traendo origine detto diritto dallo spostamento patrimoniale ingiustificato, per interrompere la prescrizione non è necessaria la relativa domanda giudiziale ma è sufficiente, secondo la regola dell’art. 2943 IV comma c.c., qualsiasi atto contenente la chiara volontà del creditore di ottenere i soddisfacimento del proprio diritto: atto che la sentenza impugnata ha ravvisato in ciascuna delle tre lettere inviate dall’impresa edile (…) ritenendo ciascuna di esse idonea ad interrompere la prescrizione del diritto preteso dall’appaltatore” (Così Cass. Civ., sez. I, 02 07 2003 n° 104109).




mercoledì 21 gennaio 2015

CRONACHE DELL'ITALIA G8: IL LAUREATO SENZA TETTO