"Una cosa che ciascuno di noi può - e deve - fare è educare sé stesso e le persone intorno a sé. La democrazia si basa su una popolazione istruita: capace non solo di leggere e scrivere ma di porre continuamente domande importanti. Dobbiamo essere scettici nei confronti dei nostri leader, dirigenti e giornalisti; dobbiamo insistere perché ci informino. Tutti noi dobbiamo leggere tra le righe"
IL GIURISTA E' FUORI DAI CODICI ------- Avvocato Vincenzo Montone ------- Castellabate (SA) via Colombo 11 ------- +39 0974960347 ---- montonevince@libero.it
lunedì 12 dicembre 2016
sabato 5 novembre 2016
L'INSOPPRIMIBILE ESSENZA DEL DIRITTO
Anche la persona più equilibrata potrebbe dubitare della propria ed altrui lucidità se dovesse partecipare ad un’udienza della Corte d’Appello civile.
Ad indicare l’aula dell’udienza c’è il segnale di avvocati intrecciati attorno ad un tavolo per contendersi le paginette spillate che racchiudono “il ruolo”, ovvero l’elenco delle cause in ordine progressivo.
Leggerlo non comporta alcun beneficio, eppure c’è grande frenesia a farlo per primi, forse per sfogare amarezze represse con l’abituale: “Sono al numero centotredici! E che! Stasera devo dormire qua?”
E di dormire si rischia, non per la lunga attesa quanto per l’inutilità dell’impegno.
Siedono i giudici in coro, vestiti di toga e di noia, lieve vitalità s’impone al Presidente che “chiama” le cause, cioè urla i nomi delle parti.
Due avvocati alla volta si fanno spazio ed uno di loro recita il “può passare”, formula con cui conferma di chiedere una decisione, perché gli anni trascorsi non hanno cancellato la speranza di ottenerla.
Tutta la mattinata è impegnata da questo vacuo, assurdo, frustrante cerimoniale, in ossequio al venerabile codice di procedura civile.
Anche stamattina sonnecchiavo, per mantenermi vigile alimentavo la fantasia di un incendio che potesse aver distrutto tutti i fascicoli, tranne il mio.
Un sussulto inatteso: entra il Procuratore Generale che si è appellato contro la concessione dello status di rifugiato ad un Pakistano.
Si discute del Punjab, dello stato di pericolo, delle ragioni umanitarie.
E nella nebulosa routine di liti tra condomini o tra ex coniugi, questa fiammella di attività intellettuale risveglia l’interesse a comprendere ed elaborare concetti.
Forse non è del tutto inutile quello che accade tra queste mura.
Il diritto c’è, sopravviverà anche alle procedure.
giovedì 13 ottobre 2016
TOPOLINO, FANTOZZI E IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Mi considero un oppositore del Governo Renzi.
Sarò sicuramente irrilevante, col mio solo voto, ma continuerò ad oppormi ad un Governo che, per composizione, obiettivi e disonestà comunicativa rappresenta appunto l’opposto dei miei ideali.
Per questa ragione ho deciso di votare SI’ al referendum costituzionale del prossimo 4 Dicembre.
Voterò SI’ perchè il testo della riforma è talmente inadeguato, pieno di lacune, imprecisioni e contraddizioni, che viene da domandarsi se tanta inadeguatezza sia involontaria o intenzionale.
Se le disfunzioni della riforma fossero involontarie, il Presidente Renzi si troverebbe nello stesso ruolo di apprendista stregone assegnato a Topolino in un film della Disney. Ma pasticciare con formule troppo complicate fu disastroso per Topolino, sopraffatto dall’esito dei suoi maldestri tentativi.
Le istituzioni giuridiche, come tutte le idee, sebbene prive di materialità sono impregnate di un’energia da sfruttare con accortezza, ogni errore può causare disastrosi effetti collaterali, che travolgono per primo l’incauto operatore.
Dunque, se le riforme sono inadatte perchè predisposte da incompetenti, la loro approvazione avrà conseguenze nefaste per i promotori, e questa è un’ottima ragione per votare SI’, avremo la certezza di liberarci per sempre da Renzi e Renzisti.
Ma la riforma potrebbe essere inadeguata per scelta, dunque studiata con minuzia per rendere inoperanti alcune parti dell’attuale Costituzione.
E’ quello che mi fanno pensare gli intricati meccanismi che regolano i rapporti tra Regioni e Stato centrale, al di sopra dei quali vige assoluta una clausola di supremazia in favore dello Stato.
L’impressione è che si sia voluto nascondere, sotto formule equivoche ma concludenti, un obiettivo non confessabile, ovvero la sostanziale eliminazione delle autonomie locali.
Il Senato eletto dai Consigli regionali sarà un’istituzione onoraria, senza alcuna funzionalità, e gli Enti locali perderanno ogni partecipazione alla funzione legislativa.
Con l’accentramento della legislazione nulla potrà opporsi ad un progressivo svuotamento anche dell’autonomia amministrativa e tributaria degli Enti Locali.
Lo Stato Centrale sarà l’unico erogatore di risorse ed interlocutore dei creditori.
A chi giova la centralizzazione? A parte la vanità di ogni novello Bonaparte, non è da scartare l’ipotesi che il nuovo assetto istituzionale sia quello preferito dai creditori dello Stato, del resto è lo stesso Presidente a ripeterci che questa riforma “la vuole l’Europa”.
L’Italia sarebbe così assimilabile ad un’azienda insolvente cui il Tribunale sostituisce i precedenti organi di amministrazione con un commissario unico, incaricato di saldare i debiti.
L’obiettivo della riforma, più che istituzionale, sarebbe finanziario, ovvero garantire i creditori che il debito è sostenibile perché l’attuale amministratore ha ampia autonomia operativa ed è l’unico a rispondere di attivi e passivi, non essendo più sottoposto alle attività di spesa e di riscossione attribuite ad altri soggetti.
Più che Padre Costituente, il Presidente Renzi risulterebbe un umile Ragionier Fantozzi che esegue servilmente gli ordini ricevuti, aggressivo solo tra le mura di casa, muto e sottomesso di fronte ai suoi superiori.
Votando SI’ impedirò che il Ragionier Fantozzi possa nascondersi dietro l’abituale alibi delle “mani legate”, non potrà lamentarsi che sono stati populisti e gufisti ad impedire il benessere degli Italiani.
In questi giorni il comitato del SI’, arricchito da concorrenti esterni come Roberto Benigni, ci sta spiegando che il NO sarebbe un’altra Brexit, aggraverebbe la crisi economica, arresterebbe la modernizzazione e cose del genere.
Votare SI’ è l’unico modo di svelare il bluff, di constatare che scuole decorose, ospedali funzionanti, tribunali efficienti, trasporti pubblici non dipendono dalla Costituzione ma dai Costituenti, e che servirebbero quelli del 1948: Calamandrei, De Gasperi, Einaudi, Foa, La Malfa, La Pira, Lussu, Moro, Mortati, Nenni, Ronchi, Togliatti, Vanoni…
lunedì 19 settembre 2016
MATRIMONIO CONCORDATARIO – TRASCRIZIONE NEI REGISTRI DELLO STATO CIVILE – EFFETTI – MANCATA TRASCRIZIONE DEL REGIME PATRIMONIALE FACOLTATIVO – INEFFICACIA DEL REGIME DI SEPARAZIONE DEI BENI.
Ai sensi dell’art. 8 L. 121/1985, la trascrizione dell’atto di matrimonio
contratto dinanzi al ministro di culto cattolico conferisce all’atto stesso
l’idoneità a produrre effetti civili nell’ordinamento italiano. Per effetto di
tale norma gli effetti civili destinati a prodursi per effetto della
conclusione di un matrimonio concordatario sono quelli propri dell’atto di
celebrazione del matrimonio trascritto nei registri dello stato civile, ossia
quelli di cui l’atto trascritto contiene tutti gli elementi previsti dalle
singole fattispecie. La trascrizione dell’atto assolve, dunque, alla funzione
di conferire efficacia ad un atto concluso in forme diverse da quelle previste
nel nostro ordinamento; conseguentemente, anche la scelta per il regime
patrimoniale della separazione dei beni contenuta nell’atto di matrimonio concluso
dinanzi ai ministri di culto cattolico, è idonea a spiegare effetti
nell’ordinamento vigente solo se della scelta vi è menzione nell’atto
trascritto, a seguito dell’indiretto conferimento di efficacia alla
convenzione;
La mancata indicazione nell’atto di matrimonio trascritto del
regime di separazione dei beni comporta l’impossibilità di riconoscere
efficacia alla dichiarazione effettuata dalle parti dinanzi al ministro di
culto.
Nel caso in esame, a seguito di ricorso per separazione giudiziale, il
Giudice delegato, nell’assumere i provvedimenti temporanei ed urgenti ex art.
708 c.p.c., attribuiva al marito l’abitazione della casa coniugale, ritenendo
che ne fosse esclusivo proprietario, tuttavia il presupposto della esclusiva
titolarità della casa coniugale risultava erroneo, considerato: 1) che
l’immobile era stato acquistato con atto
pubblico in data successiva alla celebrazione del matrimonio; 2) che dal
registro degli atti di matrimonio del Comune non risultava che i coniugi, alla
celebrazione del matrimonio, avessero scelto il regime patrimoniale della
separazione dei beni.
Pertanto, con ricorso ex artt. 700, 708 e 177 cpc, la moglie chiedeva
in via cautelare la modifica dell’ordinanza presidenziale e l’attribuzione
della casa coniugale, ritenendo di esserne comproprietaria in forza dell’art.
177 C.C.
Nel costituirsi il marito esibiva certificato rilasciato dal parroco
nel quale si attestava che, alla celebrazione del matrimonio, i coniugi avevano
fatto dichiarazione di scegliere il regime patrimoniale di separazione dei
beni.
Il Giudice adito, pur constatata la omessa menzione nei registri
comunali della scelta del regime patrimoniale coniugale, rigettava il ricorso motivando
che “non può negarsi che i coniugi, in sede di celebrazione, abbiano
effettivamente scelto il regime di separazione in maniera sicuramente valida ex
art. 162 Cod. Civ..
Ad opinione della ricorrente tale motivazione costituiva una errata
applicazione delle norme che disciplinano la trascrizione delle convenzioni
matrimoniali, infatti:
I)
Il giudice adito ha ritenuto non indispensabile, ai fini dell’efficacia, la
trascrizione nei registri dello stato civile delle convenzioni matrimoniali
stipulate nel corso del matrimonio; per individuare i principi che disciplinano
la fattispecie è opportuno richiamare brevemente le norme di riferimento.
L’art.
162 cod. civ., stabilisce che “le convenzioni matrimoniali devono essere
stipulate per atto pubblico, a pena di nullità”, ed al comma 2 che “la
scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell’atto di
celebrazione del matrimonio”. Tuttavia tale norma disciplina
esclusivamente le convenzioni patrimoniali dichiarate nel corso del matrimonio
civile, celebrato innanzi all’Ufficiale di Stato civile, mentre, ai sensi
dell’art. 82 cod. civ. i matrimoni celebrati davanti al ministro del culto
cattolico sono regolati dalla legge speciale del 25 marzo 1985 n°121,
contenente modifiche al concordato lateranense del 1929.
In particolare l’art. 8 L. 121/1985 statuisce che “sono
riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del
diritto canonico a condizione che l’atto relativo sia trascritto
nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale”.
In altri termini, la trascrizione dell’atto di matrimonio nei Registri dello
stato civile costituisce condizione necessaria perché ai matrimoni canonici
possano essere riconosciuti effetti civili, tra i quali quelli derivanti dalla
scelta del regime patrimoniale speciale di separazione dei beni.
Riguardo al termine per la trascrizione è inoltre previsto che “la
richiesta di trascrizione è fatta per iscritto dal parroco non oltre cinque
giorni dalla celebrazione. L’Ufficiale di stato civile, ove sussistano le
condizioni per la registrazione, la effettua entro ventiquattr’ore dal
ricevimento dell’atto”.
In merito infine alla possibilità di una trascrizione tardiva è
stabilito che “la trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su
richiesta dei due contraenti o anche di uno di essi con la conoscenza e
senza l’opposizione dell’altro”.
Tale disciplina normativa della trascrizione degli atti nel matrimonio
religioso cattolico è finalizzata alla costituzione di formalità idonee a
garantire l’effettiva corrispondenza della volontà di entrambi i coniugi a
quanto da essi dichiarato nel corso della celebrazione religiosa nonché la
pubblicità di tali dichiarazioni. Infatti, come ben chiarito nella norma
richiamata, il parroco celebrante non
acquista la qualità di pubblico ufficiale per il solo fatto di celebrare il
matrimonio, perché tale qualità è condizionata all’ulteriore
requisito della trascrizione dell’atto
nei registri dello stato civile. (Cfr. sul punto Cass. Civ. sez. I, 19 06
2001 n° 8312). Pertanto il matrimonio religioso non produce quegli effetti
civili, quali il regime patrimoniale speciale, la cui scelta non si sia
manifestata nelle forme richieste dalla legge.
La
ratio della norma, individuata nella necessità che, per l’esercizio delle
potestà di controllo e di pubblicità indispensabili alla valida costituzione di
un regime patrimoniale speciale, l’attività del ministro religioso sia
integrata da quella del pubblico ufficiale civile, è ribadita nella disciplina
della trascrizione tardiva, che è consentita solo su congiunta richiesta dei
coniugi ovvero con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro.
Tale specifica previsione dimostra ulteriormente come la semplice
volontà dei contraenti, pur inequivocabilmente espressa all’atto della
celebrazione e così raccolta dal celebrante, non è sufficiente alla produzione
di effetti civili, giacchè, ove la trascrizione non sia stata effettuata nel
breve termine di cinque giorni dalla celebrazione, la volontà dei coniugi perde
ogni efficacia ed è necessario che sia rinnovata in una formale istanza
congiunta rivolta all’Ufficiale di stato civile.
Il punto trova conferma nel principio giurisprudenziale secondo il
quale “la frattura temporale tra celebrazione e trascrizione esclude ogni
rilevanza ad una volontà precedentemente espressa di ottenere la trascrizione
del vincolo manifestata in occasione degli adempimenti stessi” (C.fr.
Cass. Civ., sez. I, 24 03 1994 n° 2893).
Infatti la volontà dei coniugi di optare per il regime della
separazione dei beni – insita negli stessi adempimenti che devono accompagnare
la celebrazione religiosa (le preventive pubblicazioni, la lettura degli
articoli del Codice Civile, la redazione dell’atto di matrimonio in doppio
originale) – se può essere presunta quando il procedimento preliminare alla
trascrizione avvenga con la normale concentrazione prevista dalla legge, non
può più esserlo quando si verifica una “frattura temporale” tra gli atti
espressivi della volontà indirizzata agli effetti civili e gli atti successivi
di richiesta e relativa trascrizione.
II) Alla luce delle considerazioni svolte, il principio adottato dal
Giudice che ha rigettato l’istanza cautelare, secondo il quale per la scelta
del regime patrimoniale speciale sarebbero sufficienti le dichiarazioni rese
dai coniugi innanzi al ministro religioso, appare palesemente difforme dalla
disciplina normativa di specie.
E’ altresì opportuno sottolineare che tale principio, se applicato,
produrrebbe evidenti distorsioni nel sistema
delle convenzioni patrimoniali, infatti:
A) Il
nostro ordinamento non attribuisce alle dichiarazioni rese innanzi al ministro
di un culto religioso, ove non siano rispettate le ulteriori formalità di
legge, una efficacia differente rispetto ad ogni altra manifestazione di
volontà che non sia stata resa in forma
pubblica. Ove invece si ritenesse che le dichiarazioni rese nel corso della
celebrazione del matrimonio religioso siano produttive di peculiari effetti
giuridici, tale speciale efficacia non potrebbe essere limitata alle
celebrazioni cattoliche, pena la violazione del principio costituzionale della
eguaglianza religiosa, ma dovrebbe, necessariamente, riguardare anche i
matrimoni celebrati secondo ogni altro culto ammesso nello Stato. Pertanto, pur
in assenza di ogni controllo da parte dell’autorità civile, dovrebbero
ritenersi validamente costituite con la semplice dichiarazione resa innanzi al
ministro religioso anche le convenzioni patrimoniali stipulate nel corso dei
matrimoni celebrati, ad es., dalla chiesa valdese, dalle chiese cristiane
avventiste del VII giorno o dalla comunità israelitica italiana.
B) La
dichiarazione di scelta del regime patrimoniale resa innanzi al ministro
religioso resterebbe priva di quella duplice forma di pubblicità prevista per
le convenzioni matrimoniali che è sì cumulativa ma prevede fini ed effetti
diversi, giacchè la trascrizione nei
Registri dello stato civile ha efficacia costitutiva, mentre la trascrizione
nei pubblici registri immobiliari ha solo efficacia dichiarativa-ricognitiva ai
fini dell’opponibilità a terzi dell’atto.
C) La
dichiarazione resa nel corso della celebrazione verrebbe a vincolare i coniugi
più della loro stessa volontà, ove, ad
es., essi, in mancanza di trascrizione tempestiva, abbiano in seguito tacitamente
deciso di rinunciare alla medesima, optando così per il regime legale generale
della comunione dei beni: in tale ipotesi non potrebbero far valere tale
concorde volontà, manifestata tacitamente, a fronte della dichiarazione
precedentemente resa innanzi al parroco celebrante, alla quale verrebbe
attribuita, ipso facto, efficacia normativa.
Il Giudice del reclamo ha così accolto la prospettazione del
reclamante, accertando, in via incidentale, che la mancata trascrizione del
matrimonio religioso impedisce che da questo possano derivare effetti civili
quali la comunione dei beni.
venerdì 16 settembre 2016
legittimazione passiva in assenza di voltura - interesse pubblico sussistente nell'erronea rappresentazione - piano casa inammissibile per frazioni d'edificio (T.A.R. Salerno 2171/2016)
Pubblicato
il 13/09/2016
N.
02171/2016 REG.PROV.COLL.
N.
02462/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso, numero di registro generale 2462 del
2014, proposto da:
Squillaro Virgilio e Cannalonga Rosetta, rappresentati e difesi dall’Avv. Giulio Forleo C. F. FRLGLI83E11H501A, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Velia, 96, presso lo studio dell’ing. Laudonio;
Squillaro Virgilio e Cannalonga Rosetta, rappresentati e difesi dall’Avv. Giulio Forleo C. F. FRLGLI83E11H501A, con domicilio eletto, in Salerno, alla via Velia, 96, presso lo studio dell’ing. Laudonio;
contro
Comune di Castellabate, in persona del legale
rappresentante p. t., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Villani C. F.
VLLLGU81T07A091C, con domicilio eletto, in Salerno, Largo San Tommaso d’Aquino,
3, presso la Segreteria del T. A. R. Salerno;
nei confronti di
Russo Palma Rosa, rappresentata e difesa dall’Avv.
Vincenzo Montone C. F. MNTVCN65S26H703I,
con domicilio eletto, in Salerno, Largo San Tommaso d’Aquino, 3, presso la
Segreteria del T. A. R. Salerno;
Villa Luisa, non costituita in giudizio;
Villa Luisa, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
a) della nota, prot. n. U-0019284 del 30.07.2014 del
Comune di Castellabate – Servizio 3 – Sportello Unico per l’Edilizia, con cui è
stato comunicato, ai ricorrenti, “l’annullamento in regime di autotutela ai
sensi dell’art. 21 octies della L. 241/90 e s. m. i., del permesso di costruire
con numero di registro 3474 del 17/01/2013, inerente il cambio di destinazione
d’uso da deposito a civile abitazione”;
nonché, quatenus opus est,
b) della nota prot. n. U-0012782 del 23.05.2014 del
Comune di Castellabate – Servizio 3 – Sportello Unico per l’Edilizia, con cui è
stato comunicato l’avvio del procedimento, volto all’annullamento in
autotutela, ex artt. 7 e 8 l. 241/90, del permesso di costruire n. 3474 del
17.01.2013;
c) della nota, prot. n. 13915 del 27.06.2013, del
Comune di Castellabate, Area VI – Ufficio Urbanistica, con cui è stato
comunicato l’avvio del procedimento, volto all’annullamento in autotutela, ex
artt. 7 e 8 l. 241/90, del permesso di costruire n. 3474 del 17.01.2013;
d) d’ogni altro atto presupposto, connesso e
consequenziale, anche se non conosciuto;
FATTO
I ricorrenti, proprietari di una porzione di
fabbricato, sito in S. Maria di Castellabate alla via Colombo, 11, premesso
d’aver chiesto al Comune, in data 9.10.2012, ai sensi dell’art. 3, comma 4 (rectius:
4, comma 3), della l. r. C. n. 19/09, p. di c. per cambio di destinazione d’uso
della predetta porzione immobiliare, da deposito ad abitazione, e che l’ente
aveva loro rilasciato il predetto p. di c., in data 17.01.2013, con numero di
registro n. 3474, ma che la controinteressata Russo Palma Rosa aveva, con nota
inviata al Comune in data 26.04.2013, contestato la legittimità di tale titolo,
ritenendo che lo Squillaro non poteva mutare la destinazione d’uso della
porzione d’immobile de qua, essendo proprietario soltanto di essa, ma non della
residua parte destinata ad abitazione; che il Comune, dopo aver comunicato loro
l’avvio del procedimento, rivolto all’annullamento, in autotutela, del ridetto
titolo, e dopo aver acquisito le loro osservazioni, inviava una nota, in data
30.05.2014, nella quale, ignorando completamente le loro osservazioni,
notificava nuova comunicazione d’avvio del procedimento, cui faceva seguito, da
parte loro, l’invio – una seconda volta – delle relative osservazioni; nonché
premesso che, nelle more, con atto pubblico del 14.07.2014, i ricorrenti
avevano alienato la porzione immobiliare in oggetto a Villa Luisa; tanto
premesso, lamentavano come inopinatamente si fossero visti notificare il
provvedimento odiernamente gravato, con il quale l’ente locale aveva
definitivamente annullato il p. di c. in questione, data l’insussistenza del
presupposti, previsti dall’art. 4 comma 3 della l. r. C. n. 18/2009; e
articolavano, avverso il medesimo, censure impingenti, in primis, nel loro
difetto di legittimazione passiva, posto che essi, “ognuno per i diritti di
piena proprietà in ragione di un mezzo, avevano alienato alla sig.ra Villa
Luisa l’immobile de quo, in data precedente al provvedimento impugnato”,
con la conseguenza che “quest’ultima, dunque, deve essere considerata l’unico
soggetto cui l’Amministrazione resistente avrebbe dovuto indirizzare il gravato
provvedimento di annullamento”; sebbene, infatti, a causa dell’adozione del
provvedimento, da parte del Comune, e per evitare una causa civile con Villa Luisa,
i ricorrenti fossero stati costretti a riacquistare il bene, rimaneva immutata
“l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto emesso nei confronti di
soggetti all’epoca non legittimati” (era richiamata giurisprudenza a sostegno);
in sostanza, a loro avviso, solo il proprietario, in virtù del proprio diritto
dominicale, si trova in una relazione giuridica qualificata con l’immobile
oggetto dell’abuso e, in tale veste, può attivarsi per eseguire la prescrizione
ripristinatoria; ciò tanto più, se si considera che, nell’ipotesi in cui
all’annullamento del provvedimento autorizzativo segua l’ordine di demolizione
del presunto abuso, solo il proprietario potrebbe attivarsi al fine
d’eliminarlo; fermo il dedotto difetto di legittimazione passiva, i ricorrenti
segnalavano inoltre l’illegittimità del provvedimento in autotutela, per
difetto dei presupposti di cui agli artt. 2l quinquies e 21 nonies della l.
241/1990, posto che, dall’analisi del medesimo, emergeva chiaramente “la
mancanza dei requisiti fondamentali dei provvedimenti cd. di secondo grado”, e,
segnatamente, l’omessa valutazione del pubblico interesse nonché di quello dei
soggetti interessati, alla luce dell’irragionevole distanza di tempo, trascorsa
dall’esecuzione dei lavori (era citata giurisprudenza a sostegno); in
particolare, quanto al termine ragionevole, evidenziavano che il provvedimento
di annullamento in autotutela era intervenuto a distanza di oltre 18 mesi dopo
il rilascio del titolo, vale a dire oltre il termine stabilito, oggi, in maniera
presuntiva dall’art. 21 nonies, come modificato dalla l. 124 del 2015; sotto un
secondo profilo, il Comune di Castellabate non avrebbe motivato, in ordine alla
sussistenza dell’interesse pubblico concreto alla rimozione dell’atto,
trascurando altresì ogni valutazione sula posizione giuridica soggettiva degli
odierni ricorrenti e omettendo ogni forma di contemperamento tra il presunto
interesse pubblico azionato e l’affidamento legittimamente maturato dai
ricorrenti sul provvedimento autorizzativo; in sostanza, “l’Amministrazione
resistente ha annullato, sul mero presupposto del ripristino della legalità, un
provvedimento che aveva già prodotto interamente i suoi effetti, non
considerando neppure i costi sostenuti dai ricorrenti per eseguire l’opera”,
“in contrasto con le esigenze di certezza che devono necessariamente orientare
i rapporti tra p. a. e cittadini”; infine, lamentavano che il provvedimento
d’annullamento del p. di c. era stato adottato, in violazione dell’art. 4,
comma 3, della l. r. C. n. 19/2009, atteso che il Comune di Castellabate, del
tutto irragionevolmente, aveva deciso di porre nel nulla un provvedimento,
perfettamente conforme ai requisiti, richiesti dalla suddetta l. r., per la
realizzazione di interventi straordinari d’ampliamento.
Nello specifico, tale norma stabilisce che: “Per gli
edifici a prevalente destinazione residenziale, nel rispetto delle prescrizioni
obbligatorie di cui al comma 4, è consentita, in alternativa all’ampliamento
della volumetria esistente, la modifica di destinazione d’uso da volumetria
esistente non residenziale a volumetria residenziale, per una quantità massima
del venti per cento”; orbene, nel caso in esame, il cambio di destinazione
d’uso, assentito con provvedimento n. 3474, era assolutamente rispondente ai
predetti requisiti, atteso che tale intervento edilizio aveva riguardato una
porzione di un edificio a prevalente destinazione residenziale, porzione che,
conformemente a quanto richiesto dalla Legge 19/2009, rappresentava una
volumetria, sicuramente inferiore al 20% del totale dell’edificio medesimo;
nessuna rilevanza, al contrario, poteva riconoscersi alle doglianze della
controinteressata, accolte dal Comune, secondo cui lo Squillaro non avrebbe
potuto mutare la destinazione d’uso dell’immobile in questione, essendo
proprietario esclusivamente di una porzione dell’immobile e non della restante
parte del fabbricato, destinata ad abitazione, doglianza che non trovava
fondamento nella norma richiamata, posto che l’art. 4, comma 3, della l. r.
19/2009 non fa mai riferimento alla proprietà di tutto “l’edificio” nel quale
deve essere eseguito l’intervento assentito, limitandosi a richiedere che
l’ampliamento riguardi un edificio a prevalente destinazione residenziale e che
lo stesso non coinvolga più del 20% della volumetria totale, condizioni
ricorrenti nella specie (violazione di legge ed eccesso di potere per difetto
dei presupposti).
Si costituiva in giudizio il Comune di Castellabate,
con memoria in cui analiticamente controdeduceva alle censure di parte
ricorrente.
Si costituiva in giudizio anche la controinteressata
Russo Palma Rosa, la quale premetteva, in fatto, le seguenti circostanze:
era proprietaria di abitazione ubicata in parte del
piano terraneo e parte del primo piano (per complessivi circa 140 mq.) di
edificio d’epoca in S. Maria di Castellabate alla via Colombo n. 11, in catasto
al fol. 17 p.lla 183;
altra porzione del primo piano e il secondo piano
dell’edificio (per complessivi circa 170 mq) costituivano l’abitazione di
proprietà del Sig. Russo Felice, suo fratello;
al piano terraneo del medesimo era ubicato un piccolo
locale di circa 37 mq, di proprietà del Sig. Squillaro Virgilio (in catasto al
Foglio 17 part. 183 sub 7), con destinazione d’uso di deposito, privo dei
requisiti d’abitabilità previsti dal D.M. del 05 07 1975, ovvero: - altezza
minima di m 2,40; - adeguate superfici finestrate; - adeguata ventilazione dei
locali; - aspirazione di fumi, vapori ed esalazioni; - ricambio d’aria nel
locale bagno;
locali terranei di questo genere (comunemente
denominati “bassi”) sono il prodotto delle prassi edilizie di epoche remote,
quando erano destinati a magazzini per le derrate alimentari, e solo in
contesti di particolare degrado venivano impropriamente utilizzati come
abitazioni;
in data 9.10.2012 lo Squillaro depositava al Comune di
Castellabate un’istanza per ottenere, ai sensi della l. r. 19/2009, il cambio
di destinazione d’uso da deposito in abitazione del suddetto locale;
nell’istanza il Sig. Squillaro veniva indicato come proprietario di immobile in
catasto al foglio 17 part. 183/2;
l’immobile non aveva tuttavia i requisiti per
utilizzare la normativa eccezionale della l. r. 19/2009, in quanto: 1) la
normativa limita il cambio di destinazione al 20% della volumetria mentre lo
Squillaro chiedeva di mutare tutta la volumetria del locale deposito ad
abitazione; 2) nell’immobile di proprietà Squillaro non sussistevano le condizioni
di salubrità imposte dal D.M. del 5.07.1975;
per ottenere il permesso di costruire erano state
fornite all’Amministrazione attestazioni non veritiere concernenti la proprietà
e l’idoneità abitativa dell’immobile;
indotto in errore dalle attestazioni non veritiere
fornitegli, lo Sportello Unico Edilizia del Comune di Castellabate rilasciava
il permesso di costruire n. 3474 in data 17.01.2013;
in data 26.04.2013 aveva depositato, presso il Comune
di Castellabate, istanza n. 1135 affinchè fosse esercitata la vigilanza
sull’attività edilizia, ai sensi dell’art. 27 d. P. R. 380/2001;
l’Ufficio Comunale riscontrava la fondatezza
dell’istanza e, con provvedimento n. 13915 del 27.06.2013, comunicava allo
Squillaro il preavviso d’annullamento del p. di c., invitandolo a fornire
eventuali osservazioni;
successivamente, con provvedimento 12782/2014 del
23.05.2014 (notifica perfezionata il 30.05.2014), il Comune aveva reiterato il
preavviso d’annullamento, invitando, ancora una volta, l’interessato a fornire
informazioni o documenti utili;
il 9.06.2014 lo Squillaro depositava presso il Comune
di Castellabate (prot. 14307/2014) una memoria, per contestare le motivazioni
del procedimento di autotutela, e in data 14.07.1014 lo stesso, sebbene fosse
in corso nei suoi confronti l’annullamento del titolo, trasferiva l’immobile,
oggetto del permesso invalido, a tale Villa Luisa;
nell’atto di compravendita (pag. 5 dell’atto pubblico)
la parte venditrice “dichiara e garantisce che: l’immobile oggetto del presente
atto di compravendita è stato costruito in data anteriore al 1° settembre 1967;
successivamente per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile in oggetto,
ai sensi della legge regionale 19/2009,è stato rilasciato dal Comune di
Castellabate permesso di costruire n. 3474 (pratica 212/12) in data 17 gennaio
2013, precisando che i lavori sono terminati nei termini di legge giusta
comunicazione presentata al detto Comune di Castellabate in data 14 febbraio
2013, protocollo n. 381”;
lo Squillaro ometteva dunque di menzionare il
procedimento di annullamento in corso nei suoi confronti e l’immobile veniva
qualificato come abitazione proprio in forza della variazione, ottenuta con il
permesso invalido;
in data 30.07.2014 il Comune di Castellabate adottava
il provvedimento conclusivo di annullamento in autotutela del permesso di
costruire 3474/2013, notificato in data 1.08.2014 allo Squillaro, che, a tale
data, risultava: - unico titolare del permesso revocato; - unico destinatario
dei due provvedimenti di preavviso dell’autotutela; - unico autore di attività
difensiva con memorie scritte nei confronti del Comune per contestare le
motivazioni dell’autotutela; - proprietario dell’immobile dalla visura dei
registri immobiliari;
in data 8.08.2014, veniva presentato per la
trascrizione, agli uffici della pubblicità immobiliare, l’atto di compravendita
tra i coniugi Squillaro e la Sig.ra Villa;
in data 29.08.2014 veniva depositato alla Stazione
Carabinieri di S. Maria di Castellabate un esposto – denuncia contro Squillaro
Virgilio per i reati di falso materiale, truffa in danno di enti pubblici e
violazioni edilizie, da riscontrare nei fatti sinora illustrati.
Tanto premesso, la controinteressata esponeva le
ragioni, che in diritto, s’opponevano all’accoglimento della spiegata
impugnativa.
Seguiva, nell’imminenza della discussione, la
produzione di memorie difensive riepilogative per i ricorrenti e la
controinteressata.
Alla pubblica udienza del 5 luglio 2016, il ricorso
era trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Quanto alla sua prima censura, s’osserva che il
provvedimento impugnato è stato notificato, a Squillaro Virgilio, in data
1.08.2014, laddove solo in data 8.08.2014 – come dedotto dal Comune e dalla
controinteressata, e non contestato dai ricorrenti – l’atto pubblico di
compravendita, tra i medesimi ricorrenti e Villa Luisa, del cespite immobiliare
in oggetto, veniva presentato per la trascrizione negli uffici della pubblicità
immobiliare: ne deriva che legittimamente il provvedimento in questione era
notificato al proprietario, essendo preclusa, al Comune, la legale conoscenza
del trasferimento della proprietà dell’immobile, (ancora) non opponibile ai
terzi; per di più, come correttamente rilevato dalla difesa dell’ente, non
v’era stata alcuna voltura del permesso di costruire, rilasciato al ricorrente
Squillaro Virgilio, sicché va applicato l’orientamento giurisprudenziale,
compendiato nella massima che segue: “L’atto di volturazione della concessione
edilizia a favore del successore, a titolo universale o particolare,
dell’originario concessionario, sebbene si caratterizzi come atto dovuto e
privo di contenuto discrezionale (in quanto diretto solo a verificare che
sussistano le condizioni richieste dall’art. 4, comma 6, l. 28 gennaio 1977 n.
10 ed, eventualmente, dallo strumento urbanistico locale vigente perché possa
verificarsi il trasferimento della concessione), deve necessariamente
materializzarsi in un provvedimento scritto, dal quale risulti compiuto
l’accertamento delle condizioni necessarie all’attuarsi della novazione
soggettiva nel rapporto concessorio. In difetto del formale atto di
volturazione, la vicenda successoria resta confinata, rispetto alla p. a., in
un ambito privato tra il titolare originario della concessione ed il suo avente
causa, con la conseguenza che quest’ultimo è privo di legittimazione in ordine
alle azioni giudiziali relative al rapporto concessorio, risultando legittimato
esclusivamente il titolare originario della concessione edilizia (Nel caso di
specie, il successore a titolo particolare aveva impugnato il provvedimento con
il quale il sindaco aveva dichiarato la decadenza, per mancato inizio nell’anno
dei lavori, dalla concessione edilizia; enunciando il principio di cui in
massima, le S. U. hanno cassato con rinvio la sentenza del tribunale superiore
delle acque pubbliche, la quale erroneamente aveva ritenuto sussistente detta
legittimazione, nonostante il successore fosse privo di un formale atto di
voltura del titolo)” (Cassazione civile, sez. un., 22/10/2003, n. 15812).
Quanto alla seconda doglianza, impingente nel difetto
delle condizioni di legge, per poter pronunciare l’annullamento, in autotutela,
del p. di c., a suo tempo rilasciato dal Comune di Castellabate, e nel
superamento del termine ragionevole, per poter procedere a tanto, e partendo da
quest’ultimo rilievo, rileva il Collegio come tra il rilascio del titolo, in
data 17.01.2013, e la (prima) comunicazione d’avvio del procedimento, infine
sfociato nell’adozione del provvedimento di secondo grado, in data 27.06.2013,
non erano decorsi neppure sei mesi; si tratta di un termine assolutamente
congruo all’esercizio dei poteri de quibus, e la circostanza che
l’annullamento sia, poi, intervenuto a distanza di oltre un anno dall’iniziale
avviso, ex art. 7 l. 241/90, non elimina affatto tale constatazione (il lasso
di tempo ulteriore essendo comunque decorso nella piena consapevolezza, da
parte dei ricorrenti, della potenziale caducazione degli effetti del titolo
abilitativo loro rilasciato).
Quanto, ancora, alla dedotta assenza delle condizioni
per poter annullare detto titolo, deve concordarsi con la difesa
dell’Amministrazione Comunale, la quale ha osservato come lo stesso sia stato
inizialmente rilasciato, sulla base di attestazioni erronee, da parte del richiedente,
circa la sussistenza dei requisiti, per poter beneficiare della modifica della
destinazione d’uso, da volumetria esistente non residenziale, a volumetria
residenziale, previsti dalla l. r. 19/2009; ne deriva, come ritenuto in
giurisprudenza, che: “Quando l’illegittimità del titolo edilizio dipende
dall’erronea rappresentazione della realtà in capo all’amministrazione
procedente causata dal comportamento del richiedente (non importa se doloso o
colposo), l’interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento dell’atto
può ritenersi sussistente “in re ipsa”, non opponendosi a ciò posizioni
di interesse del privato degne di particolare tutela” (T. A. R. Catania
(Sicilia), Sez. I, 14/01/2014, n. 1; conforme: T. A. R. Milano (Lombardia),
Sez. II, 4/04/2013, n. 841).
Si trascorre, così, al fulcro del giudizio, vale a
dire se, nella specie, il ricorrente Squillaro Virgilio avesse titolo ad
avvalersi della disposizione di cui all’art. 4, comma 3, della l. r. Campania
n. 19/2009, che recita: “Per gli edifici a prevalente destinazione
residenziale, nel rispetto delle prescrizioni obbligatorie di cui al comma 4, è
consentita, in alternativa all’ampliamento della volumetria esistente, la
modifica di destinazione d’uso da volumetria esistente non residenziale a
volumetria residenziale per una quantità massima del venti per cento”.
Il Comune di Castellabate ha ritenuto che tanto non
fosse consentito, e che, pertanto, sussistessero le condizioni per poter
annullare, d’ufficio e in autotutela, il p. di c., a suo tempo illegittimamente
rilasciato, in quanto lo Squillaro ea proprietario soltanto del sub 2 della
p.lla 183 del foglio 17 e non anche della restante parte del fabbricato in
oggetto, o almeno di una quota, di detto fabbricato, sufficiente a far maturare
l’assentibilità del cambio di destinazione d’uso della porzione di fabbricato
di sua proprietà, da deposito ad abitazione.
Le considerazioni espresse dal responsabile dell’Area
Lavori Pubblici e Governo del Territorio dell’intestato Comune vanno condivise,
perché a ragionare diversamente – ovvero a ritenere che il 20% di modifica di
destinazione d’uso potesse calcolarsi con riferimento all’intero edificio,
quindi computando anche le parti del fabbricato non di proprietà dell’istante –
i proprietari – nella specie – della maggior consistenza dell’edificio
sarebbero stati illegittimamente privati dell’incremento delle potenzialità
edificatorie, inerenti la loro proprietà, come stabilito dalla l. r. 19/2009.
Per di più, l’art. 4 comma 3 cit. s’applica agli “edifici
a prevalente destinazione residenziale”, laddove l’immobile di proprietà dei
ricorrenti era un deposito, quindi era carente – in radice – il presupposto
d’applicabilità della norma (a meno di non ritenere che potesse prescindersi
dall’indefettibile requisito della titolarità delle restanti porzioni, in cui
l’immobile medesimo era frazionato, il che – giusta quanto sopra osservato –
non è, ovviamente, consentito).
Del resto, nel senso patrocinato dal Comune milita
anche la considerazione dell’indirizzo della giurisprudenza, espresso nella
massima seguente: “Gli interventi straordinari di ampliamento fino al 20 per
cento della volumetria esistente, di cui all’art. 4 l. reg. Campania 28
dicembre 2009 n. 19 (c.d. piano casa), sono consentiti solo con riferimento
all’intero edificio e non anche a singole frazioni di esso, con la conseguenza
che le richieste di interventi di ampliamento non possono essere formulate
anche da proprietari di singole frazioni dell’immobile” (Consiglio di Stato,
Sez. IV, 6/03/2015, n. 1144).
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come
in dispositivo.
Emergono eccezionali motivi per compensarle, quanto a
Villa Luisa, avente causa dell’alienazione dell’immobile e, per tale ragione,
pure destinataria della notificazione del ricorso, ma non costituitasi in
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania –
Sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna Squillaro Virgilio e Cannalonga Rosetta, con
vincolo di solidarietà tra loro, al pagamento, in favore del Comune di
Castellabate, in persona del l. r. p. t., nonché in favore di Russo Palma Rosa,
dei compensi e delle spese di giudizio, che liquida complessivamente in €
2.500,00 (duemilacinquecento/00), oltre accessori, come per legge.
Compensa le spese, quanto a Villa Luisa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’Autorità amministrativa.
Così deciso, in Salerno, nella camera di consiglio del
giorno 5 luglio 2016, con l’intervento dei magistrati:
Amedeo Urbano, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Paolo Severini, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL
PRESIDENTE
|
|
Paolo
Severini
|
Amedeo
Urbano
|
|
IL SEGRETARIO
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