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mercoledì 13 gennaio 2016

Necessaria la licenza edilizia per le opere anteriori al 1967 se realizzate nei centri urbani



N. 00030/2016 REG.PROV.COLL.
N. 01848/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1848 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Helga Di Giaimo, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del ricorso, dall’avv. Alfonso Esposito, elettivamente domiciliata in Salerno, alla Via Piave n. 1, presso lo studio dell’avv. E.De Vita;
contro
Comune di Castellabate, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
U.T.C. del Comune di Castellabate, in persona del Funzionario Responsabile, non costituito in giudizio;
nei confronti di
Maddalena Giaimo, rappresentata e difesa, giusta mandato a margine della memoria di costituzione in giudizio, dall’avv. Vincenzo Montone, domiciliata d’ufficio, ai fini del presente giudizio, presso la segreteria del Tribunale;
per l'annullamento
(ricorso introduttivo)
a – della nota prot. n. 2306 del 6.09.2012, notificata a mezzo posta in data 11.09.2012, ricevuta in data 21.09.2012, con cui l’amministrazione comunale di Castellabate (SA), e per essa il responsabile SUE Arch. Maurizio Forziati, ha proceduto a comunicare quanto segue: “sulla base della documentazione attualmente in possesso, non può procedere al rilascio del permesso di costruire in quanto gli atti notarili trasmessi non confermano quanto dichiarato dall’interessata ovvero che i fabbricati esistenti, per i quali si prevede l’intervento di riqualificazione, sono stati realizzati prima dell’anno 1967”;
b – di ogni altro atto, presupposto, connesso e consequenziale, ostativo all’accoglimento del ricorso e comunque allo stato non conosciuto;
(motivi aggiunti)
c – dell’ingiunzione a demolire n. 1950 del 19.08.2013 – solo di recente conosciuta, a seguito di deposito da parte del procuratore legale della controinteressata, in data 4.12.2014, all’udienza di discussione di merito e di cui si è appreso l’effettuazione di un’irrituale notifica, ai sensi dell’art. 140/143 c.p.c. in data 28.11.2014, con relativo deposito presso la casa comunale di Castellabate, avvenuta a mezzo messo notificatore comunale con nota del 28.11.2014 prot. n. 29321 – con cui si è ingiunto un “illegittimo oltre che generico” ordine di ripristino dello stato dei luoghi, per le opere insistenti sulla particella n. 874 del foglio n. 23 del NCT;
d – della nota prot. n. 2306 del 6.09.2013 del Responsabile dell’Ufficio Urbanistica del Comune di Castellabate, mai notificata e/o comunicata nelle forme di legge, con cui si è proceduto, come rilevato nel provvedimento impugnato sub c) a comunicare il diniego al rilascio del permesso di costruire, richiesto dalla ricorrente, il cui preavviso di diniego era stato impugnato con il ricorso introduttivo R.G. n. 1848/2012;
e – ove occorre, e per quanto di ragione, della nota n. 29321 dell’ufficio notifiche del Comune di Castellabate, datata 28.11.2014, con cui si è proceduto ad effettuare deposito presso la casa comunale ex art. 140/143 c.p.c., pur non sussistendone i presupposti;
f – ove occorre, e per quanto di ragione, della nota del 26.11.2014 a firma del Responsabile dell’Area VI del Comune di Castellabate, con cui si è chiesto di procedere alla notifica dell’atto di ingiunzione a demolire sub c) del 19.08.2013, sulla scorta di un presunto vano tentativo effettuato in Roma;
g – di tutti gli atti presupposti, connessi e consequenziali, allo stato ignoti, ma comunque ostativi all’accoglimento del ricorso introduttivo e dei presenti motivi aggiunti.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Maddalena Giaimo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 ottobre 2015 il dott. Giovanni Sabbato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 20 novembre 2012 e ritualmente depositato il 19 dicembre successivo, la sig.ra Di Giaimo Helga, rappresentata e difesa come in atti, impugna gli atti di cui in epigrafe, invocandone l’annullamento.
Premette che, dopo aver acquistato una unità immobiliare in Castellabate (SA), frazione San Marco, alla Via Marina n. 20, veniva raggiunta da una serie di provvedimenti contingibili ed urgenti con cui l’amministrazione comunale ordinava di intervenire tempestivamente su detto immobile per evitare eventuali crolli. La ricorrente presentava, pertanto, richiesta di permesso di costruire per la riqualificazione edilizia dell’immobile in questione, che tuttavia veniva respinta, a seguito di istruttoria sull’epoca di realizzazione dello stesso, sollecitata anche da contestazioni scritte provenienti da soggetti confinanti, in quanto, come testualmente affermato in sede motivazionale, “gli atti notarili trasmessi non confermano quanto dichiarato dall’interessata ovvero che i fabbricati esistenti, per i quali si prevede l’intervento di riqualificazione, sono stati realizzati prima dell’anno 1967”.
Avverso tale determinazione, la ricorrente deduce le seguenti censure:
1) violazione e falsa applicazione delle norme che sovraintendono al procedimento amministrativo (legge 241/90), in quanto l’atto, nell’invocare l’applicazione dell’art. 10 bis della l.n. 241/90, assumerebbe i connotati di atto endoprocedimentale e pertanto sarebbe contraddittorio rispetto all’indicazione dell’autorità e del termine per la impugnazione;
2) violazione artt. 7, 8 e 10 legge 241/90 e art. 97 Cost. – eccesso di potere (difetto dei presupposti e di istruttoria – arbitrarietà) – violazione del principio di correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa – violazione del giusto procedimento, per la pretesa omissione dell’avviso di avvio procedimentale;
3) violazione di legge (art. 27 D.P.R. n. 380/2001 e 3 L.n. 241/90) – eccesso di potere (difetto assoluto del presupposto – di motivazione – arbitrarietà –sviamento), in quanto sarebbe stata omessa la necessaria dimostrazione dell’interesse pubblico, idoneo a sorreggere la sanzione demolitoria di un immobile la cui risalenza sarebbe comprovata ex actis;
4) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.n. 241/90 – carenza di motivazione – eccesso di potere (sviamento) – violazione di legge D.P.R. n. 380/2001, perché sarebbe stata obliterata la posizione di affidamento consolidatasi per effetto del lungo lasso di tempo trascorso dalla edificazione del manufatto;
5) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.n. 241/90 – carenza di istruttoria e motivazione – eccesso di potere (sviamento) – violazione di legge D.P.R. n. 380/2001, in quanto l’atto non sarebbe assistito da adeguata istruttoria;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L.n. 241/90 – carenza di istruttoria e motivazione – eccesso di potere (sviamento) – violazione di legge D.P.R. n. 380/2001, attesa la mancata indicazione analitica degli atti in possesso dell’Amministrazione sulla base dei quali è stata adottata la contestata determinazione.
Non si costituisce il Comune di Castellabate, ancorché ritualmente intimato in giudizio.
Si costituisce invece, nella veste di controinteressata, la sig.ra Giaimo Maddalena, al fine di eccepire l’inammissibilità del ricorso e la sua infondatezza.
Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 23 gennaio 2015 e depositato il 19 febbraio successivo, la sig.ra Helga Di Giaimo impugna la consequenziale ingiunzione di demolizione, meglio distinta in epigrafe, relativa al manufatto in questione, deducendo le seguenti censure:
1) violazione delle regole di notifica – violazione delle regole processuali amministrative in ordine al corretto contraddittorio – violazione delle regole disciplinanti il domicilio convenzionale – nullità radicale dell’atto, trattandosi di atto recettizio che, per avere efficacia, necessita di entrare nella sfera cognitiva dell’interessato – destinatario – eccesso di potere – difetto del presupposto – omessa applicazione delle regole processuali – arbitrarietà, in quanto l’atto impugnato sarebbe stato notificato irritualmente in maniera da incorrere in nullità radicale;
2) stesse censure di cui al motivo che precede, per la pretesa erronea applicazione dell’iter procedimentale di notifica alla luce di tutte le numerose incombenze che esso prevede;
3) ed ancora sugli effetti della elezione di domicilio – violazione di legge processuale – nullità di atto recettizio mai entrato nella sfera cognitiva dell’interessata, perché sarebbe stato necessario procedere attraverso la notifica al domiciliatario, regolata dall’art. 141 c.p.c.;
4) QUANTO AL PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO DI DINIEGO DEL PERMESSO DI COSTRUIRE (PROT. N. 2306/2013), MAI NOTIFICATO E/O COMUNICATO – violazione di legge (art. 3 L. 1150/1942, legge 765/1967) – eccesso di potere – difetto del presupposto – arbitrarietà – illegittimità manifesta – erroneità, in quanto l’Amministrazione avrebbe omesso di verificare la data del presunto abuso edilizio, per giunta discostandosi dalla ricostruzione cronologica notarile dalla quale emergerebbe che l’immobile risale ad epoca antecedente al 1967, quindi prima dell’introduzione dell’obbligo di conseguimento della licenza edilizia;
5) violazione di legge (legge 241/90) – eccesso di potere – difetto del presupposto – di motivazione – difetto di istruttoria – illogicità, in quanto l’Amministrazione si sarebbe limitata a svolgere indagini catastali, senza considerare che la provenienza dell’intera consistenza del fabbricato è ancorata ad una sentenza di usucapione dell’11.10.1977 e detto immobile è parte di una maggiore consistenza di un vecchio agglomerato urbano su cui pendono volture catastali inevase o errate;
6) violazione di legge (ex art. 10 bis legge 241/90) – eccesso di potere – difetto di istruttoria – difetto dei presupposti – arbitrarietà – difetto di motivazione, in quanto il previo provvedimento di diniego, citato nell’ingiunzione impugnata, non sarebbe mai stato comunicato nelle forme di legge;
7) violazione di legge – eccesso di potere – difetto del presupposto – di motivazione – difetto di istruttoria – illogicità manifesta: l’ordinanza di demolizione sarebbe illegittima per essere stata omessa la necessaria descrizione della parte del fabbricato da demolire, ricadente sulla particella 874;
8) violazione di legge (artt. 22, 34, 36 e 37 D.P.R. 380/2001) – violazione di legge (art. 3 L. 241/90) – eccesso di potere (difetto assoluto di istruttoria – di motivazione – perplessità – illogicità manifesta – travisamento dei fatti) – erroneità nei presupposti di fatto e di diritto: l’ordinanza di demolizione sarebbe illegittima per essere stata omessa la necessaria valutazione dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria.
Alla camera di consiglio del 19 marzo 2015, la domanda cautelare è accolta alla luce del danno lamentato.
In prossimità dell’udienza di trattazione del merito dei ricorsi proposti, entrambe le parti costituite depositano memorie e documentazioni insistendo per le rispettive conclusioni.
Alla pubblica udienza dell’8 ottobre 2015, sulle reiterate conclusioni delle parti costituite, il ricorso, e relativi motivi aggiunti, sono trattenuti in decisione.
I. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo, sollevata dalla resistente controinteressata, assumendo la natura endo-procedimentale – e pertanto non lesiva – dell’atto impugnato, atteso che, dal suo complessivo tenore si ricava agevolmente la sua essenza di atto terminale del procedimento innescato dall’istanza edificatoria avanzata dalla ricorrente. Nonostante nel corpo dello stesso si richiami expressis verbis l’art. 10 bis della legge n. 241/90 e si informi il destinatario della possibilità di presentare “proprie osservazioni”, in tal modo alludendo al diaframma dialogico che connota il preavviso di diniego, il contenuto decisorio del provvedimento si desume non solo dalle indicazioni, recate in calce allo stesso, relative all’autorità ed al termine per la impugnazione, ma dalle sue stesse ampie articolazioni, che si attagliano alla motivazione dell’atto finale denegante piuttosto che alla mera formulazione dei motivi ostativi, come previsto dalla norma su citata. Ma denota tale qualificazione dell’atto la successiva evoluzione della vicenda, avendo l’Amministrazione adottato l’ingiunzione di demolizione ponendo a suo fondamento proprio la nota in parola, anche se riportando erroneamente la data di adozione (06.09.2013 in luogo di 06.09.2012 con il medesimo numero di protocollo). Il Collegio ritiene quindi di convenire con quanto si assume da parte resistente in ordine alla inesistenza del diniego di permesso di costruire espressamente impugnato con il gravame integrativo, essendo del tutto verosimile che l’Amministrazione sia incorsa in errore nel riportarne gli estremi, anche perché l’ingiunzione di demolizione del 29/08/2013 non può fondarsi su un atto del 06/09/2013, ovverosia adottato successivamente al primo. E’ quindi la stessa Amministrazione a riconoscere, per comportamento concludente, nella nota prot. n. 2306 del 6.09.2012, l’atto terminale del procedimento edilizio quale diniego dell’istanza di permesso di costruire. La reiezione dell’eccezione di improcedibilità del ricorso introduttivo non può non comportare, di conserva, la inammissibilità di ogni censura sollevata in sede di gravame integrativo avverso l’inesistente provvedimento di diniego del 06.09.2013.
II. Transitando al merito delle censure articolate, se ne deve ravvisare l’infondatezza.
II.1. Col primo mezzo, parte ricorrente si duole della intrinseca contraddittorietà del provvedimento, che ne renderebbe dubbia la natura di atto endoprocedimentale ovvero terminale. La censura non è in grado di inficiare la legittimità dell’atto, riverendosi sul solo piano interpretativo, secondo le regole stabilite per i contratti dagli artt. 1362 e ss. c.c., tra le quali assume carattere preminente quella collegata all'interpretazione letterale, in quanto compatibile con il provvedimento amministrativo, ma che non assolve il giudice dal compito di ricostruire l'intento perseguito dall'Amministrazione ed il potere concretamente esercitato sulla base del contenuto complessivo dell'atto (c.d. interpretazione sistematica) nel rispetto del principio di buona fede interpretativa (art. 1366 c.c.) di guisa che gli effetti del provvedimento, devono essere individuati solo in base di ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere (Consiglio di Stato, sez. V, 09 ottobre 2015, n. 4684). Si sono sopra esposte le ragioni per le quali l’atto in contestazione deve ritenersi avente il valore di atto terminale del procedimento quale diniego definitivo dell’istanza edificatoria. La censura va quindi respinta.
II.2. Non coglie nel segno il secondo motivo di gravame, in quanto la norma in cotal sede invocata (art. 7 della l.n. 241/90) non si attaglia alla fattispecie in esame, connotata dall’attivazione di un procedimento ad istanza di parte e per la quale l’ordinamento prevede il diverso strumento del preavviso di diniego per assicurare la partecipazione dell’interessato. Laddove parte ricorrente intendesse lamentare proprio la mancanza di diaframma procedimentale, stante l’effettiva natura dell’atto impugnato di definitivo diniego dell’istanza di parte, il rilievo non avrebbe la sospirata ricaduta patologica, in ossequio al principio di dequotazione dei vizi formali che involge anche la previsione di cui all’art. 10 bis l.n. 241/90. Si ritiene, infatti, da condivisibile giurisprudenza (T.A.R. Napoli – Campania - sez. VII, 07 gennaio 2014, n. 1) che la violazione dell'art. 10 bis della l. 7 agosto 1990 n. 241 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendosi interpretare la disposizione sul c.d. preavviso di diniego alla luce del successivo art. 21 octies della medesima legge, in base alla quale, laddove sia dedotto un vizio di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e, conseguentemente, di non annullare l’atto nell’ipotesi in cui la dedotta violazione formale non abbia inciso sulla legittimità sostanziale dei provvedimenti impugnati. Per le ragioni che si diranno al capo che segue, il contributo dialogico che il ricorrente avrebbe potuto offrire all’attenzione dell’Amministrazione in caso di partecipazione procedimentale non era suscettibile di indurre determinazioni di segno diverso da quello assunto. Anche il motivo in esame è quindi da respingere.
II.3. Inammissibili sono le censure di cui al terzo e quarto mezzo di gravame, suscettibili - per il loro tenore - di trattazione congiunta, in quanto calibrate con riferimento ad un ordine demolitorio che il provvedimento non contiene. Esse sono comunque infondate, in quanto, come da orientamento di questo Tribunale, peraltro confermato di recente (sez. II, 11 settembre 2015, n. 1846), l’attività di repressione degli abusi edilizi non costituisce attività discrezionale, ma del tutto vincolata che non abbisogna di particolare motivazione, essendo sufficiente fare riferimento all'accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire: di tal che nemmeno il lungo lasso di tempo intercorso tra la realizzazione dell'abuso e l'adozione del provvedimento repressivo refluisce in un più stringente obbligo motivazionale circa la sussistenza di un interesse pubblico attuale alla ingiunzione di demolizione, atteso che non può ammettersi la consolidazione di un affidamento degno di tutela solo in virtù del tempo trascorso, in costanza di una situazione di fatto abusiva che non può ritenersi per ciò solo legittimata.
II.4. Infondati sono, infine, il quinto e sesto mezzo, anch’essi suscettibili di trattazione congiunta, con i quali la ricorrente lamenta, da un lato, il difetto di istruttoria, dall’altro, la mancata indicazione analitica degli atti in possesso dell’Amministrazione sulla base dei quali è stata adottata la contestata determinazione. La disamina dei rilievi sollevati richiede una premessa di fondo, che investe la esatta distribuzione dell’onere della prova in caso di edificazione di manufatti che si assume precedente al 1967. Trattasi di un passaggio temporale senz’altro significativo, se non addirittura fatidico, in quanto, com’è noto, l’obbligo di richiedere la licenza edilizia (ora permesso di costruire) per realizzare nuove edificazioni è stato introdotto dall’art. 31, legge urbanistica n. 1150 del 1942 esclusivamente per gli immobili situati nei centri urbani, ma solo a seguito dell’approvazione della cd. legge ponte n. 765 del 1967, tale obbligo di munirsi del titolo abilitativo ad edificare è stato esteso all’intero territorio comunale. Ebbene, si afferma in giurisprudenza (T.A.R. Genova, sez. I, 18 novembre 2013, n. 1389) che incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova circa l’edificazione dell’immobile fuori dal perimetro del centro abitato prima dell’1 settembre 1967, per escludere la necessità del titolo edilizio, mentre sulla P.A. grava l’onere di controllare l’attendibilità dei fatti dedotti ex adverso, compiendo ogni opportuna verifica istruttoria ed, eventualmente, contrapponendo ad essi le risultanze di proprie verifiche ed accertamenti d’ufficio. Da tanto deriva l’infondatezza del quinto mezzo di gravame, non potendosi condividere quanto dedotto da parte ricorrente in ordine alla mancata dimostrazione di un principio di prova a carico dell’Amministrazione comunale, oltre che della controinteressata. Ma infondato è anche il sesto (ed ultimo) motivo di censura, che, per come formulato, investe la questione di merito afferente all’effettiva epoca di realizzazione del manufatto. A tal riguardo, parte ricorrente lamenta che l’Amministrazione si sarebbe limitata ad usare la dicitura “visti gli atti in possesso dell’ufficio”, senza quindi provvedere alla indicazione analitica della documentazione posta a sostegno della determinazione negativa. Il rilievo non trova riscontro nelle articolazioni contenutistiche dell’atto impugnato, nel quale l’Amministrazione fornisce esatta contezza degli atti dalla possibile rilevanza probatoria acquisiti nel corso del procedimento anche su iniziativa della controinteressata sig.ra Giaimo Maddalena (trattasi, in particolare, di “una serie di atti notarili e due fotografie a colori”). L’atto contiene quindi esatto riferimento all’atto di compravendita per notaio Lucio Mazzarella del 04.10.2010, dell’atto notarile del notaio Cammarano del 24.04.1986, precisandone, sia pur sinteticamente, le rispettive disposizioni traslative, ed ha quindi concluso nel senso che “la particella n. 874, su cui risulta realizzata una parte del fabbricato ceduto alla sig.ra Helga Di Giamo con l’atto di compravendita per notaio Lucia Mazzarella del 04.10.2010, alla data del 24.04.1986 (atto per notaio Cammarano) risultava non edificata e con destinazione ad agrumeto”. Per tal via, l’Amministrazione ha dato ampia contezza delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del procedimento in virtù di indicazioni analitiche e dettagliate dei relativi reperti documentali. A fronte di ciò, la ricorrente, nemmeno in corso di giudizio, ha fornito dimostrazione in ordine sia all’esternalità del manufatto rispetto al centro abitato, come richiesto ai sospirati fini della non necessità di titolo abilitativo, sia in ordine alla preesistenza dello stesso rispetto al 1967. Ha prodotto, in data 09.09.2015, copia della sentenza ex Pretura di Agropoli, Sentenza Civile n. 70/1977 quale atto attributivo, in favore di Giaimo Costantino (originario dante causa dell’odierna ricorrente) del diritto di proprietà sul compendio immobiliare costituito dai seguenti beni: “casa di abitazione, sita alla via Marina n. 30 di San Marco di Castellabate, in catasto alla partita n. 215 fol. 23 n. 6 piano terra cens. 1 categ. A/4 classe 1 vani quattro e mezzo rend. catastale 252 coef. 45 e la porzione di terreno circostante, riportato al catasto terreni di Castellabate alla partita n. 2759 fol. 23 n. 552 agrumeto classe II, are 1,85…”. Orbene, la descrizione dell’immobile, disposto su un solo livello, non trova corrispondenza nei successivi atti traslativi (donazione rep. n. 26626, racc. n. 12301 dell’anno 1986, per notar dott. Cammarano; atto di compravendita rep. n. 179913/14786 del 1990, per notar Cutrupia; atto notarile rep. n. 40780 racc. n. 19386 per notar Mazzarella del 4.10.2010) in cui lo stesso immobile presenta una diversa consistenza per essere disposto su due livelli, insistenti sulle particelle 6/b e 6sub1, consistenza pertanto conseguita in epoca successiva al 1967. La difesa della controinteressata ha inoltre prodotto in atti, in data 09.09.2015, frazionamento, del 22.04.1986, della particella fg. 23, n. 874, che evidenzia la insussistenza di edifici sulla particella medesima.
Per le esposte ragioni, il ricorso in esame va respinto siccome del tutto infondato.
III. Parimenti infondato è il gravame integrativo.
III.1 Con i primi tre mezzi di gravame, suscettibili di trattazione congiunta, parte ricorrente si duole del difetto di rituale notifica sia del diniego del permesso di costruire, meglio distinto in epigrafe, che dell’ordine demolitorio. Premesso che le censure così sollevate sono da ritenere inammissibili per inesistenza dell’atto impugnato, laddove si contesta la legittimità del diniego di sanatoria, risultano in ogni caso infondate, in quanto, come da costante insegnamento giurisprudenziale, “La notificazione è elemento estrinseco all'atto notificato, che può avere rilievo solo ai fini della conoscenza dell'atto e della decorrenza dei termini di impugnazione, ma non influire sulla legittimità dell'atto notificato, di per sè perfetto ed efficace” (cfr. T.A.R. Roma, Lazio, sez. II, 14 novembre 2001, n. 9366). Parte ricorrente valorizza la natura recettizia dell’atto sanzionatorio al fine di ritenere che la omessa rituale notifica si tradurrebbe in una nullità radicale dell’atto; in senso contrario va invece evidenziato che la piana riconducibilità della fattispecie all’art. 21 bis della l.n. 241/90 (T.A.R. Napoli, sez. VII, 16 aprile 2015, n. 2172; T.A.R. Napoli, sez. VIII, 07 novembre 2013, n. 4960) consente di configurare la rituale notificazione quale condizione di efficacia dell’atto e non anche requisito di validità (Consiglio di Stato, sez. IV, 24 novembre 2014, n. 5802). Le censure in esame vanno quindi respinte.
III.2 I motivi di doglianze articolati al quarto, quinto e sesto motivo aggiunto sono inammissibili perché si indirizzano ad atto, come detto, inesistente.
III.3 Infondati sono, infine, il settimo ed ottavo motivo aggiunto, con i quali la ricorrente lamenta l’omessa descrizione della parte del fabbricato da demolire, ricadente sulla particella 874, e la omessa valutazione dei presupposti per l’applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 34 d.P.R. n. 380/2001, in quanto l’indicazione degli estremi catastali dell’area di sedime, alla luce delle risultanze esplicitate nel previo atto di diniego (richiamato ob relationem), costituisce oggettiva identificazione dell’immobile da demolire. Nemmeno il secondo profilo di censura è in grado di inficiare l’atto impugnato, in quanto, come da costante giurisprudenza dalla quale non vi è ragione di discostarsi, l’applicazione dell'art. 34 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la valutazione circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria deve essere effettuata nel momento in cui, non essendo stato spontaneamente ottemperato dal privato l'ordine di demolizione, viene emanato il conseguente ordine di esecuzione in danno. Soltanto nella seconda fase, pertanto, non può essere ritenuta legittima l'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione relativa all'entità degli abusi commessi e alla possibile sostituzione della demolizione con la sanzione pecuniaria (T.A.R. Genova, Liguria, sez. I, 17 settembre 2015, n. 737).
Il ricorso per motivi aggiunti va conclusivamente respinto.
IV. Le spese seguono la soccombenza, nei confronti della controinteressata resistente, e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1848/2012, e relativi motivi aggiunti, come in epigrafe proposti da Helga Di Giaimo, li respinge, come da motivazione.
Condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite, in favore della controinteressata resistente, nel complessivo importo di € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre IVA, CPA e rimborso forfettario delle spese generali al 15 %, come per legge.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 22 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Gaudieri, Presidente FF
Giovanni Sabbato, Consigliere, Estensore
Ezio Fedullo, Consigliere






L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE















DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/01/2016
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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