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mercoledì 30 maggio 2018

DIRITTO A MONETIZZARE LE FERIE NON GODUTE


Con riferimento alle ferie non godute, anche recentemente la giurisprudenza, ha ribadito che <<la Corte costituzionale, con la sentenza n. 286 del 2013 ha affermato che: "(...) le ferie del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle regionali, rimangono obbligatoriamente fruite "secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti", tuttora modellati dalla contrattazione collettiva dei singoli comparti. E la stessa attuale preclusione delle clausole contrattuali di miglior favore circa la "monetizzazione" delle ferie non può prescindere dalla tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole. Tant'è che nella prassi amministrativa si è imposta un'interpretazione volta ad escludere dalla sfera di applicazione del divieto posto dal D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, "i casi di cessazione dal servizio in cui l'impossibilità di fruire le ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente" (parere del Dipartimento della funzione pubblica 8 ottobre 2012, n. 40033). Con la conseguenza di ritenere tuttora monetizzabili le ferie in presenza di "eventi estintivi del rapporto non imputabili alla volontà del lavoratore ed alla capacità organizzativa del datore di lavoro" (nota prot. n. 0094806 del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato)".
Con la successiva sentenza n. 95 del 2016 nel ritenere non fondata questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, conv., con mod. dalla L. n. 135 del 2012 (che prevede, tra l'altro: "Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione..., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi"), ha posto in evidenza come il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
Il Giudice delle Leggi ha precisato che la disciplina statale in questione come interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel senso di escludere dall'àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.
Ha chiarito la Corte costituzionale che tale interpretazione, che si pone nel solco della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma 3), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro h. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).
Tale diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
Questa Corte con la sentenza n. 13860 del 2000, richiamata nella sentenza n. 95 del 2016 del Giudice delle Leggi, ha affermato che dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 C.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così nella "mora del creditore"). Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali>> (Cass. civ., sez. lav., 1° febbraio 2018, n. 2496).
<<Alla monetizzazione del diritto alle ferie non godute per cause non imputabili al lavoratore, ovvero alla capacità organizzativa del datore di lavoro, non osta l'art. 5 co. 8 del D.L. n. 95/2012 sulla c.d. spending review, in forza del quale le "ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche [...]sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto". La Corte Costituzionale, nel respingere la questione di legittimità della norma, sollevata in relazione agli artt. 3, 36 co. 1 e 3, e 117 co. 1 Cost., ha infatti chiarito trattarsi di una disposizione settoriale, introdotta al precipuo scopo di arginare possibili usi indiscriminati e distorti della monetizzazione, ma non interpretabile nel senso di disconoscere il diritto del lavoratore di beneficiare di un'indennità qualora incolpevolmente non abbia potuto usufruire delle ferie (cfr. Corte Cost., 6 maggio 2016, n. 95. Con la sentenza n. 20 novembre 2013, n. 286, la Corte aveva peraltro già avuto modo di precisare che l'art. 5 co. 8 in questione non sopprime la tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole delle ferie)>> (Tar Firenze, sez. I, 14 ottobre 2016, n. 1455).

lunedì 28 maggio 2018

SPAGHETTI-FUHRER, CON COZZE E ZAFFERANO


“Il giovane Hitler” è un film del 2003 trasmesso in TV qualche settimana fa e ricostruisce l’ascesa al potere di un giovane disadattato, frustrato da fallimenti personali ed inetto alla vita pratica ma con una notevole efficacia oratoria,  per la naturale  sensibilità di individuare e sfruttare le debolezze dei suoi interlocutori.
In una nazione prostrata dal peso del debito pubblico, con un ordinamento politico non più adeguato alla situazione storica, il protagonista favorisce una serie di successive e ravvicinate elezioni politiche per attestare l’ingovernabilità della nazione e la necessità di misure straordinarie, quali il sostanziale esautoramento del Capo dello Stato e la progressiva concentrazione dei poteri costituzionali nel Governo.
Le vicende storiche sono uniche e non riproducibili ma è difficile resistere alla tentazione di un confronto con la cronaca, dove la stupida furbizia di un meccanismo elettorale ed il timore di elezioni balneari hanno dato spunto ad una situazione comica, ma con sviluppi poco gradevoli.
Per sottrarsi all’incapacità di governare, e senza l’onesta di dichiararlo, si è messa in scena la farsa del contratto governativo, con procura ad litem conferita a difensore di sfiducia, forse ingenuo, forse inconsapevole ma che potrà aggiungere al curriculum di aver quasi governato per tre giorni.
Non si riusciva a trovare un casus belli che potesse far attribuire ad altri il fallimento, perché il Quirinale digeriva tutto, anche mettere un  Esternatore al Ministero dell’Interno e a quello del Lavoro chi questo verbo non aveva mai coniugato in prima persona.
Fu il caso fortuito, ma propizio, a risolvere l’imbarazzo: chi avrebbe potuto immaginare che il Governo del Cambiamento si sarebbe vincolato ad un ottantaduenne  transitato da Ministero del Bilancio, Banca del Lavoro, Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma, TIM, Capitalia, Banca di Roma, Governo Ciampi e Governo Berlusconi?
Eppure era un nome sgradito, non è ancora chiaro perché, ma tanto sgradito che bisognava sostenerlo ad ogni costo, per l’adeguato finale della farsa.
Inutile spiegare che il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale, dove nessun Ministro decide senza il consenso degli altri, sicchè la politica economica si sarebbe potuta cambiare comunque, anche con un altro nome, o assegnando a quello sgradito una sede in penombra.
Meglio tornare ai mestieri consueti: eccitazione delle folle, sfruttandone il malessere, e disgregazione nazionale, che, curiosamente, era l’obiettivo fondativo di un certo Carroccio, che poi però ci ha rinunciato, o no?

venerdì 11 maggio 2018

CAUSALITA’ OMISSIVA E CONCORSO DI PERSONE: NON E’ PUNIBILE LA MERA CONNIVENZA IN OCCASIONE DI UN REATO (TRIBUNALE DI SALERNO – TERZA SEZIONE PENALE – sentenza n. 311 del 02 02 2018)


La decisione di merito fornisce una valutazione sulla condotta dell’imputato che, nella fattispecie concreta, era risultato presente mentre  altra persona, di sua conoscenza,  commetteva i reati di rapina e lesioni personali.
Il Giudice ha preliminarmente chiarito come  il nostro ordinamento giuridico penale punisce i reati omissivi solo laddove il soggetto non abbia evitato un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire (reati omissivi cd. impropri) ovvero in una situazione tipizzata dal codice penale non abbia tenuto la condotta richiesta (reati omissivi propri). Non è invece punibile la mera connivenza, poiché il cittadino, in generale, non è investito da un dovere di salvaguardia dei beni giuridici altrui”.
Tale decisione fornisce l’occasione per alcune valutazioni in materia di causalità omissiva e di concorso di persone nel reato.
 Infatti,  se  il contributo causale del concorrente può essere anche solo morale e manifestarsi in forme differenziate ed atipiche (istigazione, agevolazione, autorizzazione, approvazione), ciò non esime il giudice di merito dall’obbligo di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti. Non può infatti confondersi l’atipicità della condotta criminosa concorsuale, pur prevista dall’art. 110 c.p., con l’indifferenza probatoria circa le forme concrete del suo manifestarsi nella realtà. (cfr., da ultimo, Cass. Pen., sez. VI, 24 07 2017 n. 36739).
Per la configurabilità del concorso di persone nel reato è dunque necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità di produzione del reato.
E non può ravvisarsi il concorso di persone nel reato in caso di comportamento meramente negativo, ovvero nel mancato impedimento del reato, ove non sussista l’obbligo giuridico di impedirlo.
In ragione dell’art. 40 c.p., perché possano considerarsi penalmente equivalenti la causazione ed il mancato impedimento dell’evento non è sufficiente accertare il nesso di causalità ipotetica tra l’evento e la condotta omissiva. E’ anche necessaria la sussistenza di una “posizione di garanzia” dell’imputato, al quale deve essere stato attribuito uno speciale obbligo di tutela verso il bene giuridico protetto: si può concorrere mediante omissione alla realizzazione di un reato commissivo soltanto a condizione che l’omittente sia garante dell’impedimento dell’evento.
Esclusa dunque una responsabilità per mera omissione, la presenza fisica alla consumazione del reato può costituire  una compartecipazione criminosa solo se sia servita, consapevolmente, da stimolo all’azione o a rafforzare il proposito delittuoso, oppure sia chiaramente di adesione all’azione.
Sulla base di queste considerazioni la giurisprudenza di legittimità ha sempre distinto  il concorso nel delitto da quella che è invece la connivenza, definita come la consapevolezza che altri stiano commettendo un reato ma concretizzata in un comportamento meramente passivo, che non costituisce una forma di concorso.