Con riferimento alle ferie non godute, anche recentemente la
giurisprudenza, ha ribadito che <<la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 286 del 2013 ha affermato che: "(...)
le ferie del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, ivi comprese
quelle regionali, rimangono obbligatoriamente fruite "secondo quanto
previsto dai rispettivi ordinamenti", tuttora modellati dalla
contrattazione collettiva dei singoli comparti. E la stessa attuale preclusione
delle clausole contrattuali di miglior favore circa la
"monetizzazione" delle ferie non può prescindere dalla tutela
risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole. Tant'è che
nella prassi amministrativa si è imposta un'interpretazione volta ad escludere
dalla sfera di applicazione del divieto posto dal D.L. n. 95 del 2012, art. 5,
comma 8, "i casi di cessazione dal servizio in cui l'impossibilità di
fruire le ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente" (parere
del Dipartimento della funzione pubblica 8 ottobre 2012, n. 40033). Con la
conseguenza di ritenere tuttora monetizzabili le ferie in presenza di "eventi
estintivi del rapporto non imputabili alla volontà del lavoratore ed alla
capacità organizzativa del datore di lavoro" (nota prot. n. 0094806 del
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato)".
Con la
successiva sentenza n. 95 del 2016 nel ritenere non fondata questione di
legittimità costituzionale del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, conv., con
mod. dalla L. n. 135 del 2012 (che prevede, tra l'altro: "Le ferie, i
riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle
amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della
pubblica amministrazione..., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto
previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla
corresponsione di trattamenti economici sostitutivi"), ha posto in
evidenza come il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti
sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è
riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione)
o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che
comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di
attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di
lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di
godimento delle ferie.
Il Giudice
delle Leggi ha precisato che la disciplina statale in questione come
interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel
senso di escludere dall'àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del
rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la
capacità organizzativa del datore di lavoro.
Ha chiarito
la Corte costituzionale che tale interpretazione, che si pone nel solco della
giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, non
pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art.
36, comma 3), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale
del lavoro h. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e
resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31,
comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva
23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti
dell'organizzazione dell'orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n.
2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).
Tale diritto
inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza
alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla
malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
Questa Corte
con la sentenza n. 13860 del 2000, richiamata nella sentenza n. 95 del 2016 del
Giudice delle Leggi, ha affermato che dal mancato godimento delle ferie deriva
- una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa,
adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del
lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva,
in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 C.c.,
del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica;
l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del
diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore
di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle
ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così
nella "mora del creditore"). Lo stesso diritto, costituendo un
riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato,
nella sua esistenza, alle esigenze aziendali>> (Cass. civ., sez. lav., 1° febbraio 2018, n.
2496).
<<Alla
monetizzazione del diritto alle ferie non
godute per cause non imputabili al lavoratore, ovvero alla capacità
organizzativa del datore di lavoro, non osta l'art. 5 co. 8 del D.L. n. 95/2012
sulla c.d. spending review, in forza del quale le "ferie, i riposi ed i
permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle
amministrazioni pubbliche [...]sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto
previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla
corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione
si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità,
dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età.
Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere
applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto". La
Corte Costituzionale, nel respingere la questione di legittimità della norma,
sollevata in relazione agli artt. 3, 36 co. 1 e 3, e 117 co. 1 Cost., ha
infatti chiarito trattarsi di una disposizione settoriale, introdotta al
precipuo scopo di arginare possibili usi indiscriminati e distorti della
monetizzazione, ma non interpretabile nel senso di disconoscere il diritto del
lavoratore di beneficiare di un'indennità qualora incolpevolmente non abbia
potuto usufruire delle ferie (cfr. Corte Cost., 6 maggio 2016, n. 95. Con la
sentenza n. 20 novembre 2013, n. 286, la Corte aveva peraltro già avuto modo di
precisare che l'art. 5 co. 8 in questione non sopprime la tutela risarcitoria
civilistica del danno da mancato godimento incolpevole delle ferie)>>
(Tar Firenze, sez. I, 14 ottobre 2016, n. 1455).