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lunedì 28 maggio 2018

SPAGHETTI-FUHRER, CON COZZE E ZAFFERANO


“Il giovane Hitler” è un film del 2003 trasmesso in TV qualche settimana fa e ricostruisce l’ascesa al potere di un giovane disadattato, frustrato da fallimenti personali ed inetto alla vita pratica ma con una notevole efficacia oratoria,  per la naturale  sensibilità di individuare e sfruttare le debolezze dei suoi interlocutori.
In una nazione prostrata dal peso del debito pubblico, con un ordinamento politico non più adeguato alla situazione storica, il protagonista favorisce una serie di successive e ravvicinate elezioni politiche per attestare l’ingovernabilità della nazione e la necessità di misure straordinarie, quali il sostanziale esautoramento del Capo dello Stato e la progressiva concentrazione dei poteri costituzionali nel Governo.
Le vicende storiche sono uniche e non riproducibili ma è difficile resistere alla tentazione di un confronto con la cronaca, dove la stupida furbizia di un meccanismo elettorale ed il timore di elezioni balneari hanno dato spunto ad una situazione comica, ma con sviluppi poco gradevoli.
Per sottrarsi all’incapacità di governare, e senza l’onesta di dichiararlo, si è messa in scena la farsa del contratto governativo, con procura ad litem conferita a difensore di sfiducia, forse ingenuo, forse inconsapevole ma che potrà aggiungere al curriculum di aver quasi governato per tre giorni.
Non si riusciva a trovare un casus belli che potesse far attribuire ad altri il fallimento, perché il Quirinale digeriva tutto, anche mettere un  Esternatore al Ministero dell’Interno e a quello del Lavoro chi questo verbo non aveva mai coniugato in prima persona.
Fu il caso fortuito, ma propizio, a risolvere l’imbarazzo: chi avrebbe potuto immaginare che il Governo del Cambiamento si sarebbe vincolato ad un ottantaduenne  transitato da Ministero del Bilancio, Banca del Lavoro, Impregilo, Gemina, Aeroporti di Roma, TIM, Capitalia, Banca di Roma, Governo Ciampi e Governo Berlusconi?
Eppure era un nome sgradito, non è ancora chiaro perché, ma tanto sgradito che bisognava sostenerlo ad ogni costo, per l’adeguato finale della farsa.
Inutile spiegare che il Consiglio dei Ministri è un organo collegiale, dove nessun Ministro decide senza il consenso degli altri, sicchè la politica economica si sarebbe potuta cambiare comunque, anche con un altro nome, o assegnando a quello sgradito una sede in penombra.
Meglio tornare ai mestieri consueti: eccitazione delle folle, sfruttandone il malessere, e disgregazione nazionale, che, curiosamente, era l’obiettivo fondativo di un certo Carroccio, che poi però ci ha rinunciato, o no?

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