Nella sua carriera politica
l’Avv. Giuseppe Conte può essere definito come l’uomo sbagliato al posto
giusto, essendosi sinora distinto soprattutto per ciò che non è.
Compare la prima volta sui palchi
accanto ai grillini, che lo indicano come possibile ministro tecnico alla
riforma della Pubblica Amministrazione, anche se, come docente di diritto
privato ed avvocato civilista, lui tecnico, in senso tecnico, della materia
proprio non era.
Scomparso dunque come ministro,
ricompare come Capo del Governo giallo-verde quando occorre individuare una
figura esterna sia ai leghisti che ai grillini, qualcuno che possa rappresentare
la propria maggioranza ma senza farne parte, insomma che ci sia senza esserci:
il suo ruolo preferito.
Nell’estate del 2019 Salvini
sbrocca, ed i grillini devono trovarsi un nuovo alleato: ma c’è il problema di
giustificare il transito da destra a sinistra, con cui si rinnega un
posizionamento politico che si era consolidato: occorreva qualcuno con tale facciatosta
da dichiarare in pubblico di aver sì appoggiato le scelte dei leghisti, però
senza accorgersene; dunque, venuto alla luce tutto il malfatto, quei cattivoni dovevano
prendere le ttottò sul culetto.
E’ questo il momento della famosa
sceneggiata in Parlamento, quando il Capo del Governo incolpa il proprio
Governo per la gestione inumana della vicenda immigrati, di cui però indica
come responsabile il solo ministro degli Interni, che qualche oscura entità
aveva occultamente nominato e supportato fino al giorno prima.
Essere senza essere, di destra e
di sinistra, è ormai per lui così naturale che l’inneffabile Presidente non trova
alcuna difficoltà nell’appartenere ad un movimento votato come
antivaccinista ed antieuropeista ma che poi
sostiene una campagna vaccinale molto stringente ed invoca aiuti da
quell’Europa fino ad allora demonizzata.
L’Europa però non si lascia
mettere nel taschino come una pochette di seta, e gli aiuti sarebbe anche
disposta ad erogarli in quantità generose, purchè a gestirli sia qualcuno che
si svegli la mattina dove si è coricato la sera, magari anche con un qualche
curriculum affidabile ed una faccia che corrisponda a sé stessa. Così l’ormai
ex Presidente deve trovare altre forme in cui coagulare la propria liquidità
intangibile e tenta con quella di Capo dei cinque stelle: molto adeguata,
trattandosi dell’unico Capo che non comanda, perché ha sopra di sè un altro
Capo.
Per dare una parvenza di
democrazia, si decide di far eleggere dagli iscritti almeno questo sotto-Capo,
ma per evitare qualunque rischio viene candidato solo lui: in questo modo se ne
perfeziona l’attitudine all’ambivalenza, essendo il primo politico della storia
a prevalere in una competizione elettorale contro sé stesso, nella quale, ad
onor del vero, ottiene un ampio consenso.
Ma nemmeno è sufficiente, perchè lo Statuto dei
grillini, predisposto dal medesimo sotto-Capo,
ammetteva al voto anche iscritti che ne erano stati esclusi, e che impugnano l’elezione; dunque il sotto-Capo si
trova ad essere contemporaneamente eletto e non eletto, circostanza che gli è
perfettamente consona.
Da ultimo si è segnalato per il
suo sostegno al governo Draghi, che, di conseguenza, ha aspramente criticato,
tanto da partecipare alla sua soppressione: ma sarebbe stato troppo coerente
votarne la sfiducia, perciò ha optato per l’astensione.
Guardando la sua storia politica
si comprende perché indossi sempre un abito da cerimonia: nell’inconscio teme
sempre di essere fermato all’ingresso di un lussuoso ristorante da qualcuno che
cerca il suo nome nelle liste fornite dagli sposi e poi di sentirsi chiedere:
“Scusi, ma lei è tra gli invitati?”
In tono perentorio e
rassicurante, con voce nasale e dizione
minata da una leggera “zeppola”, lui è sempre pronto a rispondere: “E certo che
sono tra gli invitati, non lo vede come sono vestito?”