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lunedì 29 agosto 2022

L'IMBUCATO DEL POPOLO

Nella sua carriera politica l’Avv. Giuseppe Conte può essere definito come l’uomo sbagliato al posto giusto, essendosi sinora distinto soprattutto per ciò che non è.

Compare la prima volta sui palchi accanto ai grillini, che lo indicano come possibile ministro tecnico alla riforma della Pubblica Amministrazione, anche se, come docente di diritto privato ed avvocato civilista, lui tecnico, in senso tecnico, della materia proprio non era.

Scomparso dunque come ministro, ricompare come Capo del Governo giallo-verde quando occorre individuare una figura esterna sia ai leghisti che ai grillini, qualcuno che possa rappresentare la propria maggioranza ma senza farne parte, insomma che ci sia senza esserci: il suo ruolo preferito.

Nell’estate del 2019 Salvini sbrocca, ed i grillini devono trovarsi un nuovo alleato: ma c’è il problema di giustificare il transito da destra a sinistra, con cui si rinnega un posizionamento politico che si era consolidato: occorreva qualcuno con tale facciatosta da dichiarare in pubblico di aver sì appoggiato le scelte dei leghisti, però senza accorgersene; dunque, venuto alla luce tutto il malfatto, quei cattivoni dovevano prendere le ttottò sul culetto.

E’ questo il momento della famosa sceneggiata in Parlamento, quando il Capo del Governo incolpa il proprio Governo per la gestione inumana della vicenda immigrati, di cui però indica come responsabile il solo ministro degli Interni, che qualche oscura entità aveva occultamente nominato e supportato fino al giorno prima.

Essere senza essere, di destra e di sinistra, è ormai per lui così naturale che l’inneffabile Presidente non trova alcuna difficoltà nell’appartenere ad un movimento votato come antivaccinista  ed antieuropeista ma che poi sostiene una campagna vaccinale molto stringente ed invoca aiuti da quell’Europa fino ad allora demonizzata.

L’Europa però non si lascia mettere nel taschino come una pochette di seta, e gli aiuti sarebbe anche disposta ad erogarli in quantità generose, purchè a gestirli sia qualcuno che si svegli la mattina dove si è coricato la sera, magari anche con un qualche curriculum affidabile ed una faccia che corrisponda a sé stessa. Così l’ormai ex Presidente deve trovare altre forme in cui coagulare la propria liquidità intangibile e tenta con quella di Capo dei cinque stelle: molto adeguata, trattandosi dell’unico Capo che non comanda, perché ha sopra di sè un altro Capo.

Per dare una parvenza di democrazia, si decide di far eleggere dagli iscritti almeno questo sotto-Capo, ma per evitare qualunque rischio viene candidato solo lui: in questo modo se ne perfeziona l’attitudine all’ambivalenza, essendo il primo politico della storia a prevalere in una competizione elettorale contro sé stesso, nella quale, ad onor del vero, ottiene un ampio consenso.

Ma  nemmeno è sufficiente, perchè lo Statuto dei grillini,  predisposto dal medesimo sotto-Capo, ammetteva al voto anche iscritti che ne erano stati esclusi, e che  impugnano l’elezione; dunque il sotto-Capo si trova ad essere contemporaneamente eletto e non eletto, circostanza che gli è perfettamente consona.

Da ultimo si è segnalato per il suo sostegno al governo Draghi, che, di conseguenza, ha aspramente criticato, tanto da partecipare alla sua soppressione: ma sarebbe stato troppo coerente votarne la sfiducia, perciò ha optato per l’astensione.

Guardando la sua storia politica si comprende perché indossi sempre un abito da cerimonia: nell’inconscio teme sempre di essere fermato all’ingresso di un lussuoso ristorante da qualcuno che cerca il suo nome nelle liste fornite dagli sposi e poi di sentirsi chiedere: “Scusi, ma lei è tra gli invitati?”

In tono perentorio e rassicurante, con  voce nasale e dizione minata da una leggera “zeppola”, lui è sempre pronto a rispondere: “E certo che sono tra gli invitati, non lo vede come sono vestito?”


 

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