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giovedì 30 maggio 2024

FAME DI GIUSTIZIA E SEPARAZIONE DI CARRIERE


 

“Maestà, il popolo ha fame!”

“E perché non gli date del pane?”

“Maestà, perché il pane è finito..”

“E allora dategli delle brioches!”

Questa risposta viene attribuita alla regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, consorte del re di Francia Luigi XVI, per descrivere la sua assoluta inadeguatezza rispetto alla realtà concreta, nella quale si determinerà la  rivoluzione del 1789.

L’aneddoto mi è tornato in mente stamattina, leggendo alcuni giornali, che più o meno titolavano così: “Approvata la separazione delle carriere tra Giudici e Pubblici Ministeri: ci sarà una giustizia più giusta e più efficiente”.

Sono quasi trent’anni che frequento le aule di giustizia, di ogni grado e giurisdizione, dunque mi sento sufficientemente titolato per poter affermare che questa tanto strombazzata separazione delle carriere non produrrà alcun incremento né della giustizia né tantomeno dell’efficienza dei giudizi.

La riforma riguarda, ovviamente, solo l’ambito del processo penale, ma a soffrire di inefficienza sono invece i giudizi civili, per la loro durata illimitata, mentre quelli penali non possono oltrepassare il tempo fissato per la prescrizione.

Ed è sempre il giudizio civile a trovarsi gravato da continue riforme inconcludenti, partorite da presunti tecnici, ignari delle esigenze forensi, ed espresse con formule sgrammaticate, incomprensibili e contraddittorie, al punto che anche la semplice notificazione di un atto richiede esercizi di alta acrobazia intellettuale.

Per il processo penale, invece, non riesco a comprendere, né mi è stato ancora spiegato, perché mai separare la carriera del rappresentate dello Stato (il Pubblico Ministero) da quella del Giudice dovrebbe influire sulle modalità del processo.

Sento dire che la comunanza del percorso professionale comporterebbe una eccessiva frequentazione, col rischio che l’uno influenzi l’altro.

Ma i numeri smentiscono questo rischio, dal momento che circa il 50% dei giudizi richiesti dalle Procure si concludono con l’assoluzione dell’imputato.

Riforme per migliorare la giurisdizione penale ce ne sarebbero, e basterebbe una telefonata del Governo a qualunque cancelliere di qualunque Tribunale per farsene dettare almeno una decina. Se poi il Governo avesse una mattinata libera da impegni mediatici, e volesse trascorrerla tra il pubblico delle udienze penali, scoprirebbe che ben pochi di quei fascicoli depositati sulla cattedra riguardano fatti lesivi di beni socialmente rilevanti, mentre la maggior parte potrebbero più efficacemente essere puniti e prevenuti con salate sanzioni amministrative pecuniarie.  

Sorvoliamo poi sulla circostanza che “il popolo” si è già espresso sulla separazione delle carriere con un referendum abrogativo del 12 giugno 2022, che ha confermato l’attuale ordinamento; dunque non si comprende perché i rappresentanti del popolo si ostinino a volerlo modificare.

In conclusione, a mio parere, la separazione delle carriere avrà forse qualche obiettivo, ma sicuramente non quello di migliorare la vita dei cittadini, i quali, tuttalpiù, potranno sperare che sia avanzata qualche…brioche.

lunedì 27 maggio 2024

LA PENISOLA CHE NON C’E’ (ma bisognerebbe spiegarlo ai parlamentari)


 

Sono nato del 1965; degli anni d’infanzia mi resta nella memoria un’umanità sorridente e spensierata,  impegnata in lavori gratificanti con animo ottimista e fiducia nel futuro. Ma questi bei ricordi non mi hanno mai fatto pensare che il nostro tempo attuale potesse regredire di 59 anni: sarebbe stata una speranza delusa e credo anche immotivata.  Delusa perché la storia è una catena di eventi che si manifestano e si concludono irrimediabilmente; immotivata perché l’esperienza di un bambino è troppo ridotta per poter esprimere un fondato giudizio sul benessere collettivo, che forse era allora molto minore di oggi, solo che non me ne accorgevo.

Difficile che risulti conveniente far regredire la storia per trovare un’epoca migliore: ad esempio se nel 1965 avessi riportato il tempo indietro di 59 anni mi sarei trovato nel 1906, in una nazione molto più povera, privato di molti diritti, tra i quali quello di votare, ed in procinto di affrontare due disastrose guerre internazionali, che causeranno, tra i miei compatrioti, circa un milione di morti.

La rievocazione del passato è una fuga solo immaginaria dalle difficoltà del presente, che sono invece da vivere con tutto il possibile entusiasmo, intravedendo nel futuro quelle opportunità che potranno rendere ancora più felici le prossime generazioni.

Per questa ragione giudico in modo molto negativo quella parte della classe politica che, in occasione delle consultazioni elettorali, espone come suo obiettivo un parziale regresso ad epoche anteriori, come se la contemporaneità fosse solo una circostanza, che può essere mutata quando si vuole.

Propagandare il ritorno a politiche nazionaliste, perchè consentirebbero alle industrie italiane di ritornare a produrre la quantità di autovetture di quarant’anni fa, oppure evocare i vantaggi dell’autonomia geopolitica, non significa fare dichiarazioni azzardate: si tratta di veri e propri inganni nei confronti degli elettori, ai quali si vorrebbe far credere che la storia possa regredire, facendoli magari tornare quei bambini di 59 anni fa.

L’idea di regresso, ma anche di conservazione, è antitetica alla funzione politica; può compiacere la nostalgia degli anziani ma è velenosa per lo spirito vitale delle generazioni posteriori.

I ragazzi contemporanei utilizzano strumenti che gli consentono di stare seduti in cucina mentre guardano un amico che sta viaggiando su un treno indiano, e contemporaneamente di prenotare un aereo per l’Australia mentre ascoltano un programma radiofonico di New Orleans.

Crescono con la convinzione di poter vivere e lavorare in ogni nazione, seguono corsi universitari di ingegneria in lingua inglese, possono leggere documenti pubblicati in tutto il mondo senza mai maneggiare un foglio di carta.

Quando ero alle scuole elementari non avevamo in aula molta strumentazione didattica, ricordo solo una cartina appesa al muro con la raffigurazione dell’Italia Geografica, accanto ad un'altra con l’Italia Politica.

Sono passati più di cinquant’anni, mi auguro che domani, guardandosi attorno, gli studenti possano continuare a concepire confini meno limitati.

venerdì 3 maggio 2024

LA BADANTOCRAZIA


 

“A signo’, nun se preoccupi de svejamme stanotte, me chiami pure pe’ qualunque bisogno: se devve annà ar bagno oppure vole magnà, me chiami e nun se faccia problemi: basta che dice er mio nome che  m’apprescio; pecchè so’ fatta così: sò de core! E poi me sento uguale a lei, anzi sò proprio uguale a lei: faccia come se fossi na sorela, na mamma, na fija…”

Non meravigliamoci se nel prossimo futuro sentiremo qualche Presidente del Consiglio rivolgersi così ad un suo elettore: sarà solo l’ulteriore sviluppo di quella tecnica comunicativa con la quale i politicanti vogliono catturare la fiducia dei cittadini. Se non si può interessarli con discorsi di politica o di economia si cerca di ispirare quella confidenza e quell’intimità che possano motivare il consenso. Pratiche del genere erano abituali nei Comuni di pochi abitanti, dove chi si candidava a Sindaco contava più sul sostegno di amici e parenti che sulle proprie competenze amministrative: adesso tutta la Nazione è diventata un piccolo paese, dunque adeguiamoci.

Siamo passati in pochi anni dalla rottamazione della politica tradizionale al qualunquismo dell’uno vale uno, fino ad arrivare all’uno è uguale a voi, perciò fidatevi ed eleggetelo.

Dobbiamo dunque fidarci, anzi affidarci alle cure premurose dei nostri eguali, generosamente impegnati a fare per noi quello che noi non possiamo più fare perché ….

già, ma perché?

Perché non possiamo occuparci da soli dei nostri problemi se poi dobbiamo affidarli a chi, stando a ciò che dice, è uguale a noi?

La risposta è semplice: potremmo occuparci dei nostri problemi se fossimo ancora validi a farlo, ma non lo siamo più: siamo una nazione di anziani e pensionati; i pochi giovani hanno scarsa istruzione e troppe dipendenze psicotiche, insomma abbiamo un paese di invalidi da accudire: quello che la politica deve offrire è una brava e volenterosa badante, nient’altro.

E per fortuna si sta provvedendo: si sta disponendo tutto il necessario per dismettere l’organizzazione politica precedente, nella quale chi era incaricato di governare doveva rinunciare a molte sue libertà e diventare uno strumento delle istituzioni.

Avremo a breve un’organizzazione completamente opposta e più efficiente, nella quale saranno le istituzioni a dover agire come uno strumento di chi governa: insomma, per qualunque futura necessità notturna, il pitale o il pappagallo saranno prontamente azionati da un’affidabile e premurosa governante.