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giovedì 20 giugno 2024

DIFFERENTEMENTE AUTONOMI


 

Credo sia stato lo storico del diritto Italo Mereu a coniare l’espressione “normativa rinnegante” per indicare quelle disposizioni che, quando vengono concretamente applicate, hanno l’effetto di pregiudicare proprio quei diritti che sembrava invece volessero tutelare.

Questo concetto mi è tornato in mente quando ho letto che il nostro Parlamento ha concesso alle Regioni di svolgere le proprie funzioni in molte materie con un regime di autonomia differenziata.

Ora, se l’autonomia è il potere di dotarsi di proprie norme, senza essere assoggettati ad autorità superiori, in questo potere c’è già la facoltà di differenziarsi, ed è dunque superfluo aggiungere un aggettivo per indicare una qualità che è già contenuta nel sostantivo: quando si è autonomi è ovvio essere differenziati, proprio come quando si è cani è ovvio essere quadrupedi, salvo forse rarissime eccezioni.

 Perché allora propagandare i vantaggi di un’autonomia più autonomistica dell’autonomia? Io credo, paradossalmente, che sia per giustificare quello che accadrà in futuro, ovvero la perdita di quell’autonomia finora esercitata dalle Regioni Italiane.

Sarà bene ricordare che le nostre Regioni, introdotte con la Costituzione del 1948, furono attuate solo dal 1970, ottenendo funzioni amministrative nel 1977, anno dal quale hanno dato ben scarsa prova di efficienza gestionale ed ancor meno di creatività normativa.

In sostanza, si sono dimostrate uno strumento non idoneo: attribuirgli compiti ulteriori ne renderà ancor più evidente l’inidoneità.

Del resto, non vorrei mai essere un imprenditore, libero professionista o lavoratore dipendente che, per svolgere la sua attività anche fuori dalla Regione di residenza, sia costretto ad assimilare tutte le “differenziate” normative, prassi amministrative od organizzazioni territoriali delle località in cui è malcapitato.  Peggio ancora per quella impresa straniera che volesse aprire sedi in Italia, ma dovendo prima capire se sia più vantaggiosa la legislazione dell’Umbria o del Molise.

L’ipertrofia delle normative regionali renderà indispensabile che siano ricondotte ad un denominatore comune ed unico, che, non potendo più essere al livello nazionale, sarà necessariamente a quello continentale.

La mia previsione è dunque che si farà ancor maggior rifermento alle norme europee: se lo slogan è avere più Italia in Europa, il risultato finale sarà di avere più Europa in Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, ecc., però con la soddisfazione di tutti i sovranisti. 

E se agli stessi sovranisti non interessassero tanto le questioni legislative ma solo la possibilità di spendere in autonomia l’importo dei tributi raccolti sul proprio territorio, bisognerebbe dargli un’altra cattiva notizia.

Qualunque attività, per essere gestita in modo efficiente ha bisogno di raggiungere una determinata dimensione e di rivolgersi ad una determinata quota di utenti. E se prendiamo a riferimento quanto accaduto sinora, dovremmo concludere che la dimensione e le utenze delle Regioni Italiane non sono tali da consentirgli di svolgere in maniera efficiente le funzioni attribuite.   

L’esempio tipico è quello della sanità dove, dall’attribuzione di competenze alle Regioni, le esigenze finanziarie sono cresciute da 20.000 a 120.000 milioni di euro annui, mentre la qualità delle prestazioni fornite è decisamente peggiorata.

Se qualcosa del genere dovesse accadere anche per le prossime funzioni attribuite alle Regioni, si determinerebbe l’esigenza di maggiori risorse, da reperire attraverso tributi regionali, oppure l’emissione e collocazione di titoli di debito.

Sempre considerando quanto sinora accaduto, le Regioni si troverebbero ad essere debitrici di investitori internazionali, ai quali dovrebbe essere riconosciuto quel potere di ingerenza nelle scelte economiche che è dovuto a chi deve salvaguardare le garanzie dei propri investimenti.

Insomma, sarebbe un altro modo per doversi ancor più sottomettere agli “stranieri”, ma sempre con la soddisfazione dei sovranisti.

martedì 18 giugno 2024

IL PREMIERATO NEL PALLONE


 

Il tema politico ritenuto più rilevante in questo periodo è quello relativo alla riforma costituzionale che consentirebbe l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, riforma sintetizzata nella formula del “Premierato forte”.

Come tutti gli argomenti di diritto costituzionale, anche questo sembrerebbe competere solo a chi ne è già esperto, dunque poco interessante per la maggioranza dei cittadini, i quali, però, sono gli unici che possono convalidare la riforma con il loro voto: insomma, il loro contributo sarà molto più rilevante di quello fornito da qualunque docente universitario.

Per provare a capire questa riforma può essere utile tentare un’analogia con il funzionamento di altre organizzazioni, le cui vicende, a differenza di quelle degli Stati nazionali, suscitano ancora interesse nella popolazione: ad esempio le società sportive del calcio professionistico.

La maggior parte di queste società, se paragonate alle forme di Stato storicamente esistite, possono essere definite come Monarchie assolute. Il loro padrone è infatti unico e nessuno lo elegge: il Presidente è tale perché ha conquistato-acquistato la società, nessun cittadino-tifoso potrebbe democraticamente farlo decadere, né esercitare i suoi poteri. Tra questi poteri c’è la scelta dell’allenatore (il Presidente del Consiglio), che il Presidente incarica di raggiungere la finalità tipica di quell’organizzazione, ovvero vincere più partite possibili; sarà l’allenatore il responsabile (politico) di strategie tattiche ed allenamenti.

Come nelle Monarchie, anche il tifoso-suddito ha scarsa influenza sull’attività delle società di calcio: può andare in Tribuna o in curva, può applaudire o fischiare, ma poco altro per contrastare il Presidente o l’allenatore; tuttalpiù potrebbe emigrare, scegliendo di tifare la Juve invece che l’Inter.

Alcune, ma rare, sono quelle società di calcio organizzate con forme analoghe alla democrazia parlamentare: tra queste ad esempio c’è il F.C. Barcellona, nel quale la proprietà non appartiene ad un Presidente ma è suddivisa tra quei tifosi che hanno acquistato quote della società attraverso il cosiddetto “azionariato popolare”. Questa pluralità di proprietari, per garantire la funzionalità dell’organizzazione, si riunisce periodicamente ed elegge il proprio Presidente, cioè il capo dello Stato, che avrà gli stessi compiti del Re in una Monarchia, purchè sappia conservarsi il gradimento dei soci-parlamentari.

Il Presidente eletto attribuisce il governo della squadra all’allenatore-Premier, con facoltà della maggioranza dei soci di lamentarsi dell’allenatore e costringere il Presidente ad esonerarlo.

Visto dunque come funzionano le Monarchie e le Repubbliche Parlamentari, quale tipo di organizzazione si verrebbe a determinare con la riforma proposta dal nostro Governo, ovvero l’elezione del Presidente del Consiglio da parte dei cittadini?

Torniamo al paragone con le società di calcio: con questa riforma tutti i tifosi, anche senza possedere quote sociali, hanno il potere di elezione diretta, ma non eleggono il Presidente della società, bensì l’allenatore…

E sarebbe veramente interessante (e divertente) vedere come potrebbe funzionare una squadra di pallone in cui c’è un Presidente al vertice ma l’allenatore è scelto dalla maggioranza dei tifosi, con l’ulteriore problema che, dopo averlo eletto, i tifosi non possono però scegliere con chi sostituirlo: se il Premier dovesse rivelarsi inadatto la squadra passerebbe automaticamente al suo vice-allenatore!

E’ chiaro che un allenatore portato sulla panchina per volontà popolare verrebbe ad avere un potere enorme senza doverne rispondere a qualcuno, dal momento che Presidente, soci e tifosi avrebbero perduto ogni efficace potere di controllo sulle sue scelte.

Non dovrebbe trascurarsi di considerare che, sinora, tranne un breve esperimento in Israele, nessuno Stato (e nessuna società di calcio) ha mai pensato di selezionare l’allenatore in base agli umori della curva, anche tenendo conto delle esperienze storiche. Perché in qualche passata Monarchia è capitato che il Re, timoroso degli ultras, si sia fatto influenzare nella scelta dei Governi, ma poi il campionato è stato un combattimento continuo, e non è finito benissimo…

martedì 4 giugno 2024

L'IRRESISTIBILE PIACEVOLEZZA DEL TRUFFATORE




 

Negli ultimi mesi tre interessanti documentari televisivi hanno raccontato le vicende di Giovanni Di Stefano, Massimo Bochicchio e Paolo Macchiarini.

Apparentemente, a parte l’italianità, i tre hanno poco in comune, visto che il primo era considerato un  influente avvocato di Londra, il secondo il miglior Brocker finanziario di Roma ed il terzo effettuava interventi di chirurgia toracica in tutto il mondo, soprattutto Stati Uniti, Svezia e Russia.

Hanno però una caratteristica comune: la loro brillante ed assai remunerativa attività professionale si fondava prevalentemente sulla capacità di ingannare i propri clienti o pazienti.

Di Stefano era  famoso come difensore di criminali internazionali, pur non essendosi mai laureato in legge; Bochicchio ha fatto sparire nel nulla i tanti milioni di euro dei propri investitori e Macchiarini sperimentava sui pazienti protesi artificiali che ne provocavano la morte dopo sofferenze atroci.

Altra cosa che accomuna i tre è l’enorme consenso sociale di cui hanno beneficiato: erano ospiti ammirevoli degli ambienti più esclusivi, affascinanti per donne di ogni stato civile, apprezzati dalle maggiori istituzioni del loro settore.

Mentre mentivano, falsificavano, truffavano.

Volendomi spiegare il segreto di questa loro capacità, sono arrivato a pensare che l’inganno è reso possibile dal bisogno di essere ingannati.

L’umanità, di fronte all’infinita incertezza del divenire, ha sempre ricercato sistemi che rendessero comprensibile e controllabile l’universo, illudendosi che l’intervento di Santi o Scienziati potesse vincere ogni irrimediabile accidentalità.

Nessuno teme le conseguenze dei propri errori, se lo protegge l’astuzia dell’invincibile avvocato, e puoi smettere ogni fatica, quando l’abile mediatore fa levitare il tuo patrimonio; nemmeno malattia e morte spaventano se il chirurgo capace di ogni miracolo è accanto a te.

Il raziocinio soccombe quando qualcuno offre di alleviarci dalle nostre responsabilità o dalle ingiurie del Caso, soprattutto quando la credibilità di questa offerta è rafforzata dalle immagini trasmesse da schermi, riviste o altri apparati di quel sistema informativo divenuto sistema propagativo.

Per la cosiddetta informazione è infatti molto conveniente che gli spazi tra una pubblicità commerciale ed un'altra possano essere riempiti con altra pubblicità, ufficialmente non commerciale, che lodi la vita e le opere dei moderni taumaturghi.

A proteggerci dagli inganni potrebbe servire la cultura, ovvero un patrimonio di criteri valutativi, faticosamente acquisiti attraverso il confronto con le idee di uomini eccellenti, per i quali non era sgradevole ricercare la verità.