Charles-Louis de Secondat, Barone di La Brèd e di Montesquieu,
pubblicò a Ginevra nel 1748 “Lo spirito delle leggi”, un’opera in due volumi in
cui, tra i tanti argomenti, è enunciato anche il principio della separazione
dei poteri, molto citato nei secoli successivi.
All’epoca erano ricondotti al Monarca sia il potere di dettare
le regole (legislativo) che di applicarle (esecutivo) nonché di verificare che
fossero applicate bene (giudiziario).
Era dunque eversiva l’opinione del Barone, secondo il quale “non
vi è libertà se il potere giudiziario non è separato da quello legislativo e da
quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla
vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe
al tempo stesso legislatore: se fosse unito con il potere esecutivo il giudice
potrebbe avere la forza di un oppressore.”
Questa separazione dei poteri, dalla Rivoluzione francese in
poi, è stata recepita in tutte le Costituzioni democratiche, sicchè dovrebbe
considerarsi un criterio ormai noto, sul quale è inutile soffermarsi o
discutere.
Sorprende allora che il nostro governo si infervori perché un
giudice non ha convalidato i provvedimenti di trattenimento dei migranti
trasbordati in Albania, e contesti il potere dei giudici di controllare i
provvedimenti del Governo.
La contrapposizione tra l'organismo di governo e quello giurisdizionale non è affatto
un’anomalia, bensì una necessità per un ordinamento democratico, nel quale un
potere viene bilanciato dall’altro, secondo lo schema prefigurato dal Barone di
Montesquieu.
Del resto, se è prevista la necessità di convalidare un
provvedimento, bisogna ammettere la possibilità che tale convalida possa essere negata: non
avrebbe senso prevedere una procedura di valutazione se tale valutazione può essere solo positiva.
Stupisce che, dopo quasi trecento anni, la tutela della
democrazia sia ancora affidata alle idee di un Barone francese, che solerti
reggi-bordone vorrebbero ignorare.