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sabato 7 settembre 2024

I MALDESTRI


 

C’era un’area politica che, pur godendo di un consenso abbastanza diffuso, dalla nascita della Repubblica Italiana non aveva mai ottenuto l’incarico di formare un governo.

Quest’area, definita come “la destra”, aveva al massimo conseguito qualche Ministero, ma solo mescolandosi con altre aree, definite come “centro”, in modo da offrire agli elettori un minestrone storico-ideologico un po' confuso ma più rassicurante.

E’ ben evidente che “destra”, “centro” e “sinistra” non sono elementi concreti del mondo fisico, bensì immagini mentali, elaborate per cercare di collocare e distinguere l’azione dei soggetti politici. In questo modo dovrebbe semplificarsi la percezione del confronto democratico da parte del cittadino, che potrebbe così con maggior convinzione manifestare il proprio consenso e legittimare le scelte di chi esercita il potere.

Dunque, pur non esistendo nel mondo fisico, anche la “destra” deve avere comunque un suo contenuto percepibile, anche se solo a livello ideologico. Comunemente si riteneva che questo contenuto fosse costituito dai valori di: ordine pubblico, rigore morale, primato della tradizione sulla modernità.

Ed erano questi valori che si riteneva avrebbero colorato l’azione del primo governo guidato dalla tanto attesa destra italiana.

A circa metà del mandato, credo sia immune dall’accusa di faziosità il manifestare lo sconforto per le immagini sinora offerte.

Si va dal sottosegretario con la pistola a Capodanno a quello che traffica dipinti rubati, poi al Ministro che falsifica i bilanci, a quello che ferma i treni, quello che abolisce i reati ecc. ecc.

Fino al Ministro che piangendo chiede perdono alla moglie durante il Telegiornale.

Francamente, non si comprende come dalla destra aristocratica di Cavour, Sella e Ricasoli a quella mascolina e nazionalista del Duce, si sia poi arrivati a questa accozzaglia improvvisata  e scolorita di arrivisti, imbonitori e profittatori senza etica né cultura delle Istituzioni.

Bocciati.

lunedì 8 luglio 2024

LO STATO APPARENTE (il neo-nazionalismo è anti-statalista)

Difficile credere che i leader politici, soprattutto quelli italiani, si pongano obiettivi elevati e studino le strategie per realizzarli; nella migliore delle ipotesi cercano di manipolare l’ansia del loro pubblico promettendo di alleviarla.

Ma hanno sicuramente obiettivi e strategie gli sponsor dei politici, che ne dirigono le attività con poteri meno formali e meno visibili.

I politici contemporanei, insomma, non sono altro che frenetici influencer: fotografati col pandoro in mano non hanno idea di come sia prodotto, gli basta che il committente sia solvibile.

Di questi tempi il pandoro più pubblicizzato è quello del nazionalismo, del quale si esaltano le eccellenti qualità di tradizione, identità e protezione dei confini.

A sentire la pubblicità, sembrerebbe che questo nazionalismo voglia accrescere il ruolo della Nazione, ovvero dello Stato, ma se si vanno a leggere meglio gli ingredienti del prodotto, si scopre che, forse, obiettivo dei committenti non è affatto uno Stato più forte.

E tra questi ingredienti contraddittori non c’è solo l’autonomia differenziata che, anzi, considerando i proponenti, risulterà un ingrovigliato pastrocchio, indigesto per chi lo assaggerà.

L’antistatalismo risulta da altri elementi, che nascondono questa loro nocività, ad esempio la realizzazione di un centro di accoglienza migranti in Albania.

Con questo accordo si introduce un principio decisamente anti-nazionalista, secondo il quale un organismo dello Stato può essere realizzato fuori dal territorio nazionale (ed europeo), esercitando (all’estero) un’attività di interesse nazionale con applicazione (sempre all’estero) del diritto nazionale.

Le relazioni tra Stati si fondano sul principio della reciprocità, ovvero ti consento solo ciò che anche tu consenti a me: con accordi di questo genere si introduce una deroga al principio di territorialità, con un affievolimento della sovranità esclusiva dello Stato sul suo territorio: non è escluso che il principio in futuro risulti dannoso proprio per la Nazione che oggi tanto se ne vanta.

Altro elemento di anti-statalismo è l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio. Pochi hanno ricordato che questo reato era stato previsto dall’art. 323 del codice penale del 1930, un codice modellato sull’ideologia fascista e perciò accusato di eccessivo autoritarismo. In particolare, l’art.323 era inserito nel titolo 2 del codice, intitolato “DEI DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE” perché il bene giuridico che si intendeva proteggere era il buon andamento della Pubblica Amministrazione: abolire questo reato significa avere una Pubblica Amministrazione (cioè uno Stato) meno protetta.

Passiamo all’economia: lo scorso 1 luglio è stata venduta ad una finanziaria statunitense l’intera rete italiana delle linee telefoniche e dei cavi di fibra ottica per la trasmissione dati: se immaginavamo che lo statalismo si manifestasse anche attraverso la creazione o l’acquisizione di attività economiche, soprattutto se strategiche, dobbiamo concludere che stiamo andando in tutt’altra direzione.

In conclusione, a leggere con attenzione gli ingredienti, non sembra proprio che il pandoro del nazionalismo abbia l’obiettivo di rafforzare lo Stato. Forse agli sponsor è più gradito uno Stato debole, magari con un governo forte, in modo da dover contrattare solo con questo, senza la molesta interferenza del resto dello Stato: il Parlamento, la Magistratura, l’Informazione…


 

giovedì 20 giugno 2024

DIFFERENTEMENTE AUTONOMI


 

Credo sia stato lo storico del diritto Italo Mereu a coniare l’espressione “normativa rinnegante” per indicare quelle disposizioni che, quando vengono concretamente applicate, hanno l’effetto di pregiudicare proprio quei diritti che sembrava invece volessero tutelare.

Questo concetto mi è tornato in mente quando ho letto che il nostro Parlamento ha concesso alle Regioni di svolgere le proprie funzioni in molte materie con un regime di autonomia differenziata.

Ora, se l’autonomia è il potere di dotarsi di proprie norme, senza essere assoggettati ad autorità superiori, in questo potere c’è già la facoltà di differenziarsi, ed è dunque superfluo aggiungere un aggettivo per indicare una qualità che è già contenuta nel sostantivo: quando si è autonomi è ovvio essere differenziati, proprio come quando si è cani è ovvio essere quadrupedi, salvo forse rarissime eccezioni.

 Perché allora propagandare i vantaggi di un’autonomia più autonomistica dell’autonomia? Io credo, paradossalmente, che sia per giustificare quello che accadrà in futuro, ovvero la perdita di quell’autonomia finora esercitata dalle Regioni Italiane.

Sarà bene ricordare che le nostre Regioni, introdotte con la Costituzione del 1948, furono attuate solo dal 1970, ottenendo funzioni amministrative nel 1977, anno dal quale hanno dato ben scarsa prova di efficienza gestionale ed ancor meno di creatività normativa.

In sostanza, si sono dimostrate uno strumento non idoneo: attribuirgli compiti ulteriori ne renderà ancor più evidente l’inidoneità.

Del resto, non vorrei mai essere un imprenditore, libero professionista o lavoratore dipendente che, per svolgere la sua attività anche fuori dalla Regione di residenza, sia costretto ad assimilare tutte le “differenziate” normative, prassi amministrative od organizzazioni territoriali delle località in cui è malcapitato.  Peggio ancora per quella impresa straniera che volesse aprire sedi in Italia, ma dovendo prima capire se sia più vantaggiosa la legislazione dell’Umbria o del Molise.

L’ipertrofia delle normative regionali renderà indispensabile che siano ricondotte ad un denominatore comune ed unico, che, non potendo più essere al livello nazionale, sarà necessariamente a quello continentale.

La mia previsione è dunque che si farà ancor maggior rifermento alle norme europee: se lo slogan è avere più Italia in Europa, il risultato finale sarà di avere più Europa in Lombardia, Piemonte, Lazio, Campania, ecc., però con la soddisfazione di tutti i sovranisti. 

E se agli stessi sovranisti non interessassero tanto le questioni legislative ma solo la possibilità di spendere in autonomia l’importo dei tributi raccolti sul proprio territorio, bisognerebbe dargli un’altra cattiva notizia.

Qualunque attività, per essere gestita in modo efficiente ha bisogno di raggiungere una determinata dimensione e di rivolgersi ad una determinata quota di utenti. E se prendiamo a riferimento quanto accaduto sinora, dovremmo concludere che la dimensione e le utenze delle Regioni Italiane non sono tali da consentirgli di svolgere in maniera efficiente le funzioni attribuite.   

L’esempio tipico è quello della sanità dove, dall’attribuzione di competenze alle Regioni, le esigenze finanziarie sono cresciute da 20.000 a 120.000 milioni di euro annui, mentre la qualità delle prestazioni fornite è decisamente peggiorata.

Se qualcosa del genere dovesse accadere anche per le prossime funzioni attribuite alle Regioni, si determinerebbe l’esigenza di maggiori risorse, da reperire attraverso tributi regionali, oppure l’emissione e collocazione di titoli di debito.

Sempre considerando quanto sinora accaduto, le Regioni si troverebbero ad essere debitrici di investitori internazionali, ai quali dovrebbe essere riconosciuto quel potere di ingerenza nelle scelte economiche che è dovuto a chi deve salvaguardare le garanzie dei propri investimenti.

Insomma, sarebbe un altro modo per doversi ancor più sottomettere agli “stranieri”, ma sempre con la soddisfazione dei sovranisti.