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martedì 13 novembre 2018

ILLEGITTIMA LA SOSPENSIONE DELLA PATENTE SE NON SUSSISTONO FONDATI ELEMENTI DI EVIDENTE RESPONSABILITA’ (Giudice di Pace di Agropoli n. 997/2018)








La sentenza chiarisce la distinzione tra le ipotesi di violazione al codice della strada che costituiscono di per sè reato (per le quali la sospensione della patente è un atto dovuto) ed altre ipotesi, in cui l’irrogazione delle sanzioni è subordinata a più approfondito accertamento fattuale.
Nella fattispecie concreta l’opponente era rimasta coinvolta in un incidente stradale ma senza alcuna responsabilità nella causazione del sinistro: gli stessi agenti accertatori, intervenuti immediatamente sui luoghi, non avevano contestato alcuna infrazione del codice stradale, precisando nella verbalizzazione che si trattava di un “sinistro di particolare complessità, la cui esatta dinamica non sia immediatamente definibile”. Effettuavano tuttavia il ritiro precauzionale della patente di guida.
Con successivo decreto prefettizio veniva irrogata la sanzione amministrativa  della sospensione della patente di guida per la durata di anni 3.
Un tale provvedimento viola l’art 223 comma 2 D.Lvo 285/1992 che, nel disciplinare la sanzione amministrativa del ritiro della patente, ha introdotto due distinti procedimenti che riguardano, rispettivamente: 
a) le ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o revoca della patente (art 223 comma 1);
b) le ipotesi in cui ricorrano i presupposti di cui agli art. 589bis (omicidio stradale) e 590bis (lesioni personali stradali gravi o gravissime), disciplinate dal successivo comma 2; 
E appunto il comma 2 dell’art 223 statuisce che “il prefetto, ricevuti gli atti, dispone, ove sussistano fondati elementi di un’evidente responsabilità, la sospensione provvisoria della validità della patente di guida fino ad un massimo di cinque anni”.
C’è dunque una chiara distinzione tra la sospensione cautelare come “atto dovuto” (comma 1) e la sospensione cautelare connessa a fattispecie con danni alle persone (comma 2), che, per la maggiore gravità della sanzione massima irrogabile (cinque anni anziché due) e per la minore evidenza della prova acquisibile dagli accertatori, è condizionata ad un preventivo accertamento di elementi “fondati” ed “evidenti” riferibili alla responsabilità del conducente assoggettato alla sanzione (così Cass. Civ., sez. I, 09 05 2002 n° 6639).  
Nella fattispecie in esame non ricorrevano le condizioni per l’applicazione della sanzione amministrativa, proprio perchè  non era stata contestata dagli accertatori alcuna violazione del codice della strada.

lunedì 12 novembre 2018

OTTEMPERANZA TRIBUTARIA (a Castellabate un Commissario per la restituzione della Tassa Rifiuti)






L’ordinanza n° 2308 del 27 09 2018 della Commissione Tributaria della Campania è applicativa dell’art. 69 D.Lgs 546/1992, nella formulazione successiva al D.Lgs. 156/2015 (in vigore dal 1 giugno 2016), norma che ha introdotto la immediata esecutività delle sentenze tributarie di condanna al pagamento in favore del contribuente, anche prima del loro passaggio in giudicato.
L’esecuzione viene realizzata mediante la nomina di un Commissario ad acta, incaricato di tutti i successivi adempimenti.
Nei chiarimenti sulla riforma del processo tributario, forniti dall’Agenzia dell’Entrate con la circolare n° 38/E 2015 del 29 12 2015, è ben specificato che “In ordine ai giudizi aventi ad oggetto un diniego espresso o tacito alla restituzione di quanto spontaneamente versato è stabilita l‘immediata esecutività della sentenza favorevole al contribuente che, di conseguenza, non dovrà più attendere il passaggio in giudicato della sentenza per ottenere il rimborso. Come già evidenziato a commento dell’art. 15, l’immediata esecutività opera anche in caso di condanna dell’Ufficio al pagamento delle spese di lite”.
La decorrenza per l’applicabilità della suddetta norma deve individuarsi nella data di proposizione del ricorso di ottemperanza (Vedi C.T.R. Veneto, sez. II, Ord. 16 01 2018; C.T.R. Lombardia, Milano, sez. X, 28 09 2017).
Circa le modalità per l’instaurazione del giudizio di ottemperanza, l’art. 68 del D.Lgs. 546/1992 (come novellato anch’esso dal D.Lgs. 156/2015), ha previsto che  Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a quanto statuito dalla sentenza della commissione tributaria provinciale, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere rimborsato d'ufficio entro novanta giorni dalla notificazione della sentenza. In caso di mancata esecuzione del rimborso il contribuente può richiedere l'ottemperanza a norma dell'articolo 70 alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.”
La già richiamata circolare dell’Agenzia dell’Entrate n° 38/E 2015 del 29 12 2015, ha anche specificato che “con la riforma degli articoli 68, 69 e 70, è stato previsto un rimedio processuale unico all’eventuale inadempienza dell’Ufficio nell’esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o provvisorie. Il contribuente, infatti, in caso di inerzia dell’Ufficio, ai sensi dell’articolo 68, comma 2 e dell’articolo 69, comma 5, può ricorrere unicamente al rimedio dell’ottemperanza a norma del successivo articolo 70.”
La disciplina applicabile alle ipotesi di inottemperanza sarà dunque unicamente quella di cui al novellato D.Lgs. 546/1992 che condiziona l’esperibilità del ricorso per ottemperanza unicamente al decorso di novanta giorni dalla notificazione della sentenza all’Ente inadempiente. Sono escluse ulteriori e diverse procedure esecutive, quale quella disciplinata dal codice di procedura civile.


sabato 10 novembre 2018

Ma possono gli avvocati risolvere i problemi dei Tribunali? (il caso Vallo della Lucania)


Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Vallo della Lucania ha fissato al prossimo 16 novembre l’assemblea degli iscritti, per discutere sui disservizi che pregiudicano la regolare attività del Tribunale.

Gli incontri tra colleghi sono sempre interessanti e formativi,  a volte può dubitarsi  possano conseguire immediati effetti pratici,  non per incapacità degli interessati, ma per la posizione marginale che occupano nell’amministrazione giudiziaria.

Ad esempio: nella convocazione non si valuta positivamente il recente provvedimento con il quale un magistrato ha fissato le proprie udienze in orario pomeridiano; ritengo invece che questo provvedimento andrebbe elogiato perché dimostra una chiarezza ed una autorevolezza cui gli avvocati dovrebbero aspirare.

Chiarezza, perché il magistrato sfugge dalle comode posizioni di una regolarità solo apparente ed illustra, senza fraintendimenti o riserve, l’impossibilità concreta di affrontare nei modi usuali situazioni eccezionali.

Autorevolezza, perché esibisce un potere normativo sull’organizzazione giudiziaria che all’avvocato è invece precluso.

Non sono esperto in materia, ma dubito che il singolo avvocato o le sue rappresentanze locali e nazionali potrebbero ottenere, anche per eventualità straordinarie, quello spostamento degli orari d’udienza che, come dimostrato, può invece essere realizzato dal singolo magistrato.

Forse allora il problema da porsi, in una prospettiva più ampia, è quello di munire il libero professionista forense di un ruolo più incisivo nell’organizzazione e nella politica giudiziaria.

Il Consiglio Nazionale Forense ha proposto di dare rilievo Costituzionale all’Avvocatura: obiettivo da condividere, purchè non si riduca all’ enunciazione di un principio astratto ma determini prerogative nuove, rilevanti, e concrete.

Vorrei ricordare che l’attività degli avvocati è l’indispensabile nucleo vitale dell’Amministrazione giudiziaria: viene spesso sbeffeggiata come frenesia da azzeccagarbugli quell’attività fatta di citazioni, ricorsi, querele e difese d’ufficio senza la quale, però, non vi sarebbe necessità di alcuna udienza, ma nemmeno di cancellieri o magistrati: i Tribunali risulterebbero completamente inattivi e potrebbe serenamente procedersi alla loro soppressione.

Forse ne risulterebbe soppressa anche la Giustizia, ma quella, già si sa che è solo un’utopia.   

venerdì 14 settembre 2018

COSAP - TASSAZIONE PER OCCUPAZIONE DI SPAZI PUBBLICI - GIUDICATO TRIBUTARIO ESTERNO (Corte d'Appello di Salerno n. 1304/2018)


La sentenza di merito recepisce il consolidato principio della giurisprudenza di legittimità (in particolare:  Cass. Civ., sezz. Unn. 16 06 2006 n. 13916), secondo il quale il  processo tributario non si esaurisce in un “giudizio sull’atto”, avendo invece ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed estendendosi dunque al merito e quindi all’accertamento del rapporto. Dunque “l’impugnazione davanti al giudice tributario attribuisce a quest’ultimo la cognizione non solo dell’atto, come nell’ipotesi di –impugnazione annullamento-, orientata unicamente all’eliminazione dell’atto, ma anche del rapporto tributario, trattandosi di una cd,  –impugnazione merito-, perché diretta alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva (nella specie) dell’accertamento dell’amministrazione finanziaria, (…) Sicchè una volta stabilito che il processo tributario non è solo un giudizio sull’atto, si deve escludere che il giudicato esaurisca  i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e se ne deve ammettere una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili – nei limiti della specificità tributaria – da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile”.
Le medesime Sezioni Unite della Cassazione hanno evidenziato che nell’obbligazione tributariavi sono elementi costituitivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente, in quanto entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluratlità di periodi d’imposta. Così lo sono, ad es., le qualificazioni giuridiche che individuano vere e proprie situazioni di fatto (…) assunte dal legislatore quali elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione per una pluralità di periodi d’imposta (a valere cioè fino a quando quella qualificazione non sia venuta meno fattualmente) … E’ innegabile che tali elementi, per la loro caratteristica di eccedere il limitato arco temporale del periodo d’imposta assunto dalla norma tributaria per la determinazione del dovuto, rimanendo costanti per più periodi, e per la loro pregiudizialità nella costituzione della medesima fattispecie tributaria oggetto del giudizio relativo ad ogni singolo periodo d’imposta, possono essere oggetto di accertamento e l’eventuale giudicato formatosi in un giudizio relativo ad ogni singolo periodo d’imposta può (e deve) avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per altro periodo d’imposta. Altrimenti si verrebbe a porre in discussione lo stesso principio di effettività della tutela, alla cui asseverazione risponde la cd. –efficacia regolamentare del giudicato- (e del giudicato tributario in particolare), in base alla quale il primo giudicato (…) è idoneo a condizionare ogni successivo giudizio, immutata restando la situazione fattuale e normativa. (…) in buona sostanza si tratta di evitare una eccessiva enfatizzazione delle autonomie dei periodi d’imposta,  privilegiando la possibile considerazione unitaria del tributo (periodico) dettata dalla sua stessa ciclicità, nel rispetto, sul piano sostanziale, del principio di ragionevolezza e, sul piano processuale, del principio della effettività della tutela.”
Nella fattispecie oggetto del giudizio d’appello, il giudice di primo grado aveva appunto violato il principio del “giudicato tributario esterno”, negando alla situazione di fatto accertata nel giudizio tributario l’efficacia preclusiva in altri giudizi tra le medesime parti per il medesimo tributo.
In particolare, nel giudizio tributario tra le medesime parti del presente appello si era accertata l’insussistenza di occupazione di suolo pubblico e tale accertamento deve ritenersi vincolante per le parti anche per i periodi d’imposta successivi a quello oggetto del giudicato tributario.

 
 
 






mercoledì 29 agosto 2018

DIVISIONE EREDITARIA: efficacia della scrittura privata; disconoscimento tardivo della sottoscrizione; rinuncia all’eredità e comportamenti incompatibili; (TRIBUNALE VALLO DELLA LUCANIA n. 303/2018)



La sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, ribadisce alcuni principi in materia di divisione ereditaria.
Viene pertanto confermato come debba considerarsi definitiva la divisione effettuata con scrittura privata, pur quando la stessa necessiti di un'ulteriore formalizzazione in atto pubblico in funzione della trascrizione e delle volture catastali (Cfr. ex multis Cass. civ. Sez. II,  26 01 2010 n. 1557 e 29 03 2001, n. 4635).
Con riferimento al mancato disconoscimento delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata, viene richiamato il costante orientamento di legittimità, secondo il quale l’art. 2719 c.c., esigendo l’espresso disconoscimento della conformità delle copie fotostatiche, si riferisce tanto al disconoscimento della conformità tra copia ed originale quanto al disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione. Ad entrambi i disconoscimenti è applicabile la disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., dunque la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, se la parte comparsa non la disconosce, in modo specifico ed inequivoco, alla prima udienza o nella prima risposta successiva alla sua produzione (Cfr, ex multis, Cass. Civ., sez. II, Ordinanza 16 01 2018 n. 882).
Con riferimento invece alla intervenuta rinuncia all’eredità di erede che, successivamente, sottoscriva una scrittura privata di divisione ereditaria, viene ribadito il principio secondo il quale "la rinunzia all'eredità non fa venir meno la delazione del chiamato, stante il disposto dell'art. 525 c.c. e non è, pertanto, ostativa alla successiva accettazione, che può essere anche tacita, allorquando il comportamento del rinunciante sia incompatibile con la volontà di non accettare la vocazione ereditaria” (v. Cass. civ. Sez. VI - 2, 04-07-2016, n. 13599 nonché Cass. 18 aprile 2012 n. 6070).   






giovedì 16 agosto 2018

CARTINE (13): Leonardo Sciascia, "Il giorno della civetta"

“Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie:
gli uomini,
i mezz’uomini,
gli ominicchi,
i (con rispetto parlando) pigliainculo,
e i quaqquaraquà.
Pochissimi gli uomini;
i mezzuomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini.
E invece no, scende ancora più giù,
agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi.
E ancora più giù: 
i pigliainculo, che vanno diventando un esercito.

E infine i quaqquaraquà: che dovrebbero vivere con le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”

giovedì 28 giugno 2018

CARTINE (12): GEORGE ORWELL, 1984 (OSCAR MONDADORI)

"Il BIPENSIERO implica la capacità di accogliere simultaneamente nella propria mente due opinioni tra loro contrastanti, accettandole entrambe. L'intellettuale di Partito sa … di essere impegnato in una manipolazione della realtà, e tuttavia la pratica del BIPENSIERO fa sì che egli creda che la realtà non venga violata. Un simile procedimento deve essere conscio, altrimenti non potrebbe essere applicato con sufficiente precisione, ma al tempo stesso ha da essere inconscio, altrimenti produrrebbe una sensazione di falso … l’azione fondamentale del Partito consiste nel fare uso di una forma consapevole di inganno, conservando al tempo stesso quella fermezza di intenti che si accompagna alla più totale sincerità. Raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci davvero, dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto sconveniente e poi, una volta che ciò si renda di nuovo necessario, richiamarlo in vita dall’oblio per tutto il tempo che serva, negare l’esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso prendere atto di quella stessa realtà che si nega, tutto ciò è assolutamente indispensabile … E’ infatti solo conciliando gli opposti che diviene possibile conservare il potere all’infinito."

martedì 5 giugno 2018

IL PARCO NATURALE (IMMOBILIARE) DEL CILENTO


 

Negli ultimi anni la stampa ci ha informato sullo spreco delle risorse pubbliche investite dal Parco del Cilento per edificare immobili inutili o, comunque, inutilizzati.

Abbiamo così saputo (VEDI: http://www.occhiodisalerno.it/dossier-cilento-ecomostri-opere-abusive-ed-incomplete/..) che ad Aquara i lavori per un indispensabile CENTRO DELLA LONTRA, iniziati nel 2001, risultavano incompleti nel 2013, nonostante una spesa imprecisata tra 500.000 e 1.000.000 di euro.

Aquara ha beneficiato anche del MUSEO DEL FIUME E DELLA LONTRA, completato, per una spesa di 409.567 euro, ma anch’esso definito inutilizzato dagli articoli di stampa.

Il Comune di Centola forse acquisterà notorietà accademica grazie al CENTRO NAZIONALE PER LO STUDIO DELLE MIGRAZIONI, che però,  secondo un dossier del Codacons, “arreca un gravissimo pregiudizio al paesaggio data l’ampiezza della struttura, il suo impatto visivo e l’uso di materiali cementizi non aventi valore eco-compatibile”. Anche in questo caso la stampa sosteneva che l’immobile fosse inutilizzato, nonostante la spesa di 1.200.000 euro.

Mai completato risulterebbe anche il ricovero attrezzi per i L.S.U., avviato a Petina nel 2001.

Del CENTRO PER LA BIODIVERSITA’ di Vallo della Lucania si sono occupati anche gli inviati di “STRISCIA LA NOTIZIA”, denunciandone degrado ed abbandono, oltre al costo di 9 milioni di euro (http://www.giornaledelcilento.it/it/vallo_della_lucania_viaggio_nel_centro_della_biodiversita_tra_incuria_e_degrado_e_costato_9_milioni_di_euro_foto_video.html#.WxT5SGXo_Vq)

Non manca all’appello il Comune di Castellabate e la sua VILLA MATARAZZO, sede di una recente cementificazione, utile però a dotare finalmente il centro cittadino di un adeguato bar;  è infatti già stato pubblicato il bando che affiderà lo svolgimento di questo servizio negli erigendi edifici.
 
Al patrimonio immobiliare in corso di completamento si aggiunge quello acquistato dal Parco, oggi proprietario del Palazzo Ducale di Laurino, del Palazzo Mainenti e della Tenuta Montesani a Vallo della Lucania, del Borgo di Pietracupa a Roccadaspide, del Palazzo Dei Santamaria a Teggiano e della Casina del Mingardo a Celle di Bulgheria.

E’ forse opportuno ricordare che, nell’istituire i parchi naturali, la legge 394/1991 (art. 1) assegnò loro questi compiti:

a) conservazione di specie animali o vegetali, di associazioni vegetali o forestali, di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di valori scenici e panoramici, di processi naturali, di equilibri idraulici e idrogeologici, di equilibri ecologici;

b) applicazione di metodi di gestione o di restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;

c) promozione di attività di educazione, di formazione e di ricerca scientifica, anche interdisciplinare, nonché di attività ricreative compatibili;

d) difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici.

Difficile dire quanto sia stato investito in conservazione, promozione e ricostituzione per 27 anni, più semplice calcolare quanto siano costate quelle progettazioni, forniture, imprese edili e rogiti notarili che hanno dotato questo Ente di un ingente patrimonio immobiliare.

La corrispondenza tra  mezzi adoperati e fini da realizzare non è intuibile senza un notevole sforzo di logica, che si avvalga anche di quel “cui prodest” suggerito dalla Medea di Seneca.

mercoledì 30 maggio 2018

DIRITTO A MONETIZZARE LE FERIE NON GODUTE


Con riferimento alle ferie non godute, anche recentemente la giurisprudenza, ha ribadito che <<la Corte costituzionale, con la sentenza n. 286 del 2013 ha affermato che: "(...) le ferie del personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, ivi comprese quelle regionali, rimangono obbligatoriamente fruite "secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti", tuttora modellati dalla contrattazione collettiva dei singoli comparti. E la stessa attuale preclusione delle clausole contrattuali di miglior favore circa la "monetizzazione" delle ferie non può prescindere dalla tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole. Tant'è che nella prassi amministrativa si è imposta un'interpretazione volta ad escludere dalla sfera di applicazione del divieto posto dal D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, "i casi di cessazione dal servizio in cui l'impossibilità di fruire le ferie non è imputabile o riconducibile al dipendente" (parere del Dipartimento della funzione pubblica 8 ottobre 2012, n. 40033). Con la conseguenza di ritenere tuttora monetizzabili le ferie in presenza di "eventi estintivi del rapporto non imputabili alla volontà del lavoratore ed alla capacità organizzativa del datore di lavoro" (nota prot. n. 0094806 del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato)".
Con la successiva sentenza n. 95 del 2016 nel ritenere non fondata questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 8, conv., con mod. dalla L. n. 135 del 2012 (che prevede, tra l'altro: "Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione..., sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi"), ha posto in evidenza come il legislatore correli il divieto di corrispondere trattamenti sostitutivi a fattispecie in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie.
Il Giudice delle Leggi ha precisato che la disciplina statale in questione come interpretata dalla prassi amministrativa e dalla magistratura contabile, è nel senso di escludere dall'àmbito applicativo del divieto le vicende estintive del rapporto di lavoro che non chiamino in causa la volontà del lavoratore e la capacità organizzativa del datore di lavoro.
Ha chiarito la Corte costituzionale che tale interpretazione, che si pone nel solco della giurisprudenza del Consiglio di Stato e della Corte di cassazione, non pregiudica il diritto alle ferie, come garantito dalla Carta fondamentale (art. 36, comma 3), dalle fonti internazionali (Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro h. 132 del 1970, concernente i congedi annuali pagati, ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157) e da quelle europee (art. 31, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; direttiva 23 novembre 1993, n. 93/104/CE del Consiglio, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, poi confluita nella direttiva n. 2003/88/CE, che interviene a codificare la materia).
Tale diritto inderogabile sarebbe violato se la cessazione dal servizio vanificasse, senza alcuna compensazione economica, il godimento delle ferie compromesso dalla malattia o da altra causa non imputabile al lavoratore.
Questa Corte con la sentenza n. 13860 del 2000, richiamata nella sentenza n. 95 del 2016 del Giudice delle Leggi, ha affermato che dal mancato godimento delle ferie deriva - una volta divenuto impossibile per l'imprenditore, anche senza sua colpa, adempiere l'obbligazione di consentire la loro fruizione - il diritto del lavoratore al pagamento dell'indennità sostitutiva, che ha natura retributiva, in quanto rappresenta la corresponsione, a norma degli artt. 1463 e 2037 C.c., del valore di prestazioni non dovute e non restituibili in forma specifica; l'assenza di un'espressa previsione contrattuale non esclude l'esistenza del diritto a detta indennità sostitutiva, che peraltro non sussiste se il datore di lavoro dimostra di avere offerto un adeguato tempo per il godimento delle ferie, di cui il lavoratore non abbia usufruito (venendo ad incorrere così nella "mora del creditore"). Lo stesso diritto, costituendo un riflesso contrattuale del diritto alle ferie, non può essere condizionato, nella sua esistenza, alle esigenze aziendali>> (Cass. civ., sez. lav., 1° febbraio 2018, n. 2496).
<<Alla monetizzazione del diritto alle ferie non godute per cause non imputabili al lavoratore, ovvero alla capacità organizzativa del datore di lavoro, non osta l'art. 5 co. 8 del D.L. n. 95/2012 sulla c.d. spending review, in forza del quale le "ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche [...]sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto". La Corte Costituzionale, nel respingere la questione di legittimità della norma, sollevata in relazione agli artt. 3, 36 co. 1 e 3, e 117 co. 1 Cost., ha infatti chiarito trattarsi di una disposizione settoriale, introdotta al precipuo scopo di arginare possibili usi indiscriminati e distorti della monetizzazione, ma non interpretabile nel senso di disconoscere il diritto del lavoratore di beneficiare di un'indennità qualora incolpevolmente non abbia potuto usufruire delle ferie (cfr. Corte Cost., 6 maggio 2016, n. 95. Con la sentenza n. 20 novembre 2013, n. 286, la Corte aveva peraltro già avuto modo di precisare che l'art. 5 co. 8 in questione non sopprime la tutela risarcitoria civilistica del danno da mancato godimento incolpevole delle ferie)>> (Tar Firenze, sez. I, 14 ottobre 2016, n. 1455).