IL GIORNO DEL GIUDIZIO (Salvatore Satta, Adelpi, 1999)
"aveva trovato nella legge quella certezza che gli sfuggiva nella vita, e si sentiva naturalmente portato a scambiare la vita con la legge"
IL GIURISTA E' FUORI DAI CODICI ------- Avvocato Vincenzo Montone ------- Castellabate (SA) via Colombo 11 ------- +39 0974960347 ---- montonevince@libero.it
giovedì 19 dicembre 2013
mercoledì 4 dicembre 2013
CARTINE (5)
"Napoleone non conosceva altre fonti di introito che non fossero la fiscalità e la conquista. Il credito era per lui un'astrazione; non vi vedeva altro che i segni dell'ideologia e le idee vacue degli economisti" scriveva Ouvrad. E una volta ebbe anche l'impudenza di accennare a Napoleone che cosa un giorno avrebbe preso il suo posto: "Si alzò dalla poltrona e disse: - Monsieur Ouvrad, voi avete abbassato la regalità al livello del commercio. -"Sire, il commercio e' il genio degli Stati; può benissimo fare a meno della regalità, mentre la regalità non potrebbe farne a meno"
martedì 3 dicembre 2013
APERTI AL PUBBLICO
Una tranquilla mattinata di
adempimenti.
Prima al Giudice di Pace di
Roccadaspide.
Neve ai lati della strada ma più
freddo ancora dentro l’edificio, dov’è acquattato lo spettro della Futura Soppressione.
-
Ma
poi, alla data dell’udienza, vi troverò ancora qui? –
-
Avvocà,
o qui o là, se quello che cercate è la Giustizia allora non la troverete da nessuna
parte …–
Poi alla Commissione Tributaria.
Mentre verifica il mio fascicolo
l’impiegata rendiconta alla collega l’andamento delle molestie.
-
Gliel’ho gridato davanti a tutti: “Presidè! Io mi faccio toccare solo da chi mi
piace!”-
Passo alla Procura della Repubblica
per depositare una nomina.
-
Sentite,
ma da lì ci riuscite a leggere sul mio monitor? –
-
Bè…sì,
appena appena…-
-
E
allora giratevi dall’altra parte che qui ci stanno dati protetti dalla privacy
…-
Ultima tappa al Ruolo Generale Civile.
-
Tornate
domani …a quest’ora siamo chiusi al pubblico …-
-
Ma
sono le dodici e trenta! –
-
Appunto:
noi riceviamo il pubblico solo fino a mezzogiorno, e se no quando lo troviamo il
tempo per lavorare? -
martedì 12 novembre 2013
LIBERE PREMONIZIONI
L’Avv. Francesco
Bellucci, Presidente dell’Ordine degli avvocati di Vallo della Lucania, ha
organizzato lo scorso 8 novembre un convegno dal titolo “AVVOCATURA: EUTANASIA
DI UNA PROFESSIONE”. Scarsa attenzione tra i numerosi colleghi presenti,
evidentemente motivati solo dalla possibilità di acquisire, con la
partecipazione fisica, i promessi 4 crediti formativi.
Certo
l’argomento non era dispensatore di entusiasmi, ma avrebbe comunque meritato
maggior interesse.
Opinione del
Presidente Bellucci è che la professione sia sul crinale di una svolta
irrimediabile, di cui però non s’individua la direzione.
Ho delle mie
sensazioni e voglio divertirmi ad illustrarle; sono convinto che, entro qualche
lustro, tutta l’organizzazione della giurisdizione sarà molto diversa:
1) i Tribunali avranno una circoscrizione regionale, con
sedi distaccate solo nei capoluoghi delle Province più popolate;
2) saranno abolite le Corti d’Appello ed il secondo grado
di giudizio sarà esperibile solo presso la Cassazione ;
3) l’assistenza e consulenza legale sarà obbligatoriamente
incorporata nei prodotti finanziari, bancari ed assicurativi e così garantita
ai fruitori di questi prodotti;
4) per le materie residuali, saranno previste polizze
assicurative che forniranno il servizio di assistenza legale in qualunque
circostanza, per ogni fattispecie civile, penale ed amministrativa;
5) si attenueranno le distinzioni tra le
diverse giurisdizioni e si uniformeranno le regole processuali;
6) gli avvocati risulteranno procuratori essenzialmente
solo degli istituti bancari, finanziari ed assicurativi;
7) gli Uffici del Giudice di Pace saranno sostituiti da
Uffici per la conciliazione, organizzati e gestiti da società private in regime
di diritto privato;
8) l’attività professionale si svolgerà quasi
esclusivamente presso studi organizzati, domiciliati nei capoluoghi di Regione;
9) scomparirà la figura dell’avvocato “monocratico” libero
professionista e si consoliderà la figura dell’avvocato “impiegato” degli studi
professionali;
10) non
sopravvivranno gli studi legali delle piccole città, se non come promotori di
polizze di assistenza legale o incaricati di adempimenti presso gli Uffici di
conciliazione.
La mia
previsione è che occorreranno non più di 10-15 anni per la completa
realizzazione di questa nuova organizzazione, che si è del resto già sommariamente delineata.
Mi restano
dunque solo decina di anni per continuare ad infastidire Enti Pubblici, Banche,
Assicurazioni, Enel, Telecom e tutti quelli per i quali c'è una sola libertà insopprimibile: la loro.
mercoledì 9 ottobre 2013
DANNO DA INSIDIA STRADALE
Con la sentenza n° 576/2013 il tribunale di Vallo della Lucania (Giudice Monoctartico Doot. Lombardo) ha cconfermato il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’Ente
titolare della strada pubblica è onerato dei doveri di custodia ai sensi
dell’art. 2051 cod. civ.
Del resto, le
più recenti pronunce di legittimità avevano evidenziato che “Rispetto
alle strade aperte al pubblico transito, la Corte ha ritenuto che la disciplina di cui
all’art. 2051 cod. civ. è applicabile in riferimento alle situazioni di
pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo
configurabile il caso fortuito in relazione a quelle situazioni provocate dagli
stessi utenti, ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile
alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la
diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa
essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a
provvedere.
(…) Non
rileva, quindi, la condotta del custode, poichè essa è oggettiva ed è
invocabile nei confronti della P.A. anche se la concreta disponibilità del
bene è di rilevanti dimensioni. Per il superamento di tale
responsabilità, provato dal danneggiato che il danno è stato cagionato dal bene
in custodia, la P.A.
deve provare che esso è stato determinato dal caso fortuito, attinente alla
sequenza causale derivante dall’alterazione dello stato dei luoghi imprevista
ed imprevedibile, che nemmeno con l’uso della ordinaria diligenza poteva essere
rimossa o segnalata” (Cfr. Cass. Civ. sez. III, 13 06 2013 n° 14856).
***
La
decisione di merito si segnala anche per aver risolto, in senso favorevole al
danneggiato, l’obiezione abitualmente sollevata dagli Enti convenuti in
giudizio, ovvero che una concausa del sinistro sia la velocità eccessiva del
ciclomotore.
Nella
fattispecie si è stabilito invece che, per i motocicli modello scooter, la
caduta determinata da un avvallamento stradale ha una concausa proprio nella
bassa velocità del veicolo, mentre una velocità superiore ne agevolerebbe il
controllo.
Per spiegare la
dinamica del sinistro il CTP ha richiamato la
letteratura scientifica sulla cinematica dei motocicli, con riferimento alla funzione dell’avancorsa.
Per “avancorsa” si intende la distanza tra il
punto di contatto della ruota anteriore con la strada ed il punto di
intersezione dell’asso dello sterzo con il piano stradale (Cfr. articolo di
COSSALTER e LOT).
Un basso
rapporto tra passo ed avancorsa risponde alla scelta progettuale di rendere il
veicolo particolarmente maneggevole anche alle base velocità. Al contempo però
l’avancorsa ridotta diminuisce il valore della coppia che il pilota applica al
manubrio per manovrare il veicolo: si privilegia la maneggevolezza del
ciclomotore rispetto alla sua stabilità
direzionale.
Dunque “valori piccoli dell’avancorsa generano
momenti addirizzanti piccoli; come conseguenza lo sterzo viene percepito molto
leggero ma la stabilità direzionale risulta modesta. Piccole perturbazioni
del piano stradale provocano facilmente la rotazione dello sterzo”
Specifici studi
effettuati mediante simulazioni tridimensionali di un motociclo hanno infatti
evidenziato che “a basse velocità…il
motoveicolo è instabile e cade lateralmente in un tempo molto basso. Inoltre si
è visto che la costante di tempo cresce all’aumentare della velocità di
avanzamento del veicolo stesso ossia il veicolo risulta sempre meno
instabile con il crescere della velocità”
venerdì 5 luglio 2013
CHIARE LETTERE (9): A MONZA SI CORRE
Non conosco l'esatta dimensione del contenzioso esistente presso il Tribunale di Monza, non credo sia molto diversa da quella dei Tribunali periferici salernitani, eppure ...
SORPRESA: AL TRIBUNALE DI MONZA
IL PRIMATO EUROPEO PER L'INNOVAZIONE
La giustizia italiana modello in
Europa? Piano a scoppiare a ridere.
Perché invece è vero: il miglior progetto
di consulenza europeo è stato giudicato
quello del Tribunale e della Procura di
Monza, sesta sede giudiziaria italiana che
nell'annuale «Premio Constantinus» della
«Federazione delle Società di Consulenza
Europee» ha appunto battuto due lavori
elaborati per aziende private dall'Ibm,
non esattamente una squadretta dell'oratorio.
E proprio come accade agli atleti in
stato di grazia, ecco che Monza, dopo essersi
imposta in trasferta insieme alla Fondazione
Irso, ha subito bissato anche in casa,
vincendo pure il «Premio nazionale
per l'Innovazione», consegnato al giudice
Antonio Airò dal presidente del Cnr e dal
ministro della Ricerca alla presenza del
presidente della Repubblica. 11 triennale
progetto di Monza, finanziato con
700.00o euro del Fondo sociale europeo,
si è concentrato su segmenti poco noti
ma molto a contatto con l'esperienza quotidiana
delle persone, come i decreti penali
di condanna, le esecuzioni immobiliari
e la volontaria giurisdizione (eredità, amministrazione
di sostegno, interdizione di
familiari), con l'apertura sul territorio di
sette sportelli e un codice a barre ideato
dal presidente della sezione famiglia Claudio
Miele per seguire sul pc il percorso
delle cause civili pur nella carenza di personale
amministrativo. E adesso Monza
presenterà il suo progetto anche alla settima
«Quality Conference» dell'Unione Europea
che si terrà in ottobre a Vilnius in
Lituania. Monza, in tema di giustizia, non
è la sola «buona notizia» che non fa notizia.
Anzi, come mostrano le esperienze in
giro per l'Italia appena raccolte in «Giustizia
in bilico» (Sciacca-Verzelloni-Miccoli),
è una delle «buone pratiche» che a
macchia di leopardo stanno poco a poco
cambiando pelle alla giustizia italiana, sulla
scorta di inedite (e non scontate) consapevolezze
germinate tra i magistrati e loro
associazioni, i cancellieri e loro sindacati,
gli avvocati e loro articolazioni culturali.
Ma pochi se ne stanno accorgendo. E meno
che mai la politica, fossilizzata nel sequestrare
il dibattito pubblico sulla giustizia
attorno a finti problemi, e conseguenti
finte soluzioni, dettati dall'agenda dei processi
di questo o quel maggiorente.
Luigi Ferrarella (CORRIERE DELLA SERA 03 07 2013)giovedì 27 giugno 2013
DURA LEX SED NON LEGIT
C'è un Presidente di Tribunale che incorre troppo spesso in errori materiali nei suoi provvedimenti.
Così, da una pagina all'altra della medesima sentenza, cambiano i nomi degli imputati o le somme che il marito deve alla moglie oppure le date per il rilascio dell'appartamento da parte degli inquilini.
Ma si può giustificare qualche errore per chi è obbligato a scrivere e non ha tempo per leggere.
Il problema è che a leggere ci pensano le parti in causa e quando scoprono tanta trascuratezza si fanno una certa idea della giustizia, idea purtroppo vera ma da diffondere con più cautela.
Per fortuna arriva l'estate: sui giornali si consigliano i libri di successo ma questo Presidente non se ne occupi, se proprio volesse intrattenersi con la lettura gli basterà correggere le sue sentenze.
lunedì 3 giugno 2013
CHIARE LETTERE (8)
Una vera classe dirigente ci salverà dai raccomandati
di Gian Arturo Ferrari dal Corriere della Sera del 1′ giugno 2013
Secondo Denis Mack Smith, storico inglese che si occupò a lungo di noi, molti dei nostri guai sono dipesi dall’assenza in Italia di una grande aristocrazia, consapevole del proprio ruolo nazionale e portatrice soprattutto dì una larga visione del futuro. Al suo posto abbiamo avuto le anguste consorterie degli staterelli preunitari, nidi di nobili, per usare la felice espressione di Turgenev, e nidi anche di meschine ambizioni e rapaci appetiti. Viluppi di interessi, più che altro, come ancor oggi ben si vede. Quel che Mack Smith aveva in mente era, come è ovvio, la superba aristocrazia postcromwelliana che aveva fatto grande l’Inghilterra tra fine Seicento e inizio Ottocento. Ma il medesimo ragionamento si sarebbe potuto ripetere per l’Ottocento inoltrato, pensando in Germania all’alto ceto militar-accademico ovvero in Francia alla compagine dei servitori dello Stato, o meglio della République. Ciascuno di questi corpi si assunse, nel bene e nel male, il compito di essere lo scheletro della nazione, di essere insieme il depositario dell’identità nazionale, l’esploratore del suo futuro e l’organo di scelta dei propri successori.
A ben vedere dunque, quel che all’Italia è principalmente mancato è stato un metodo di formazione e selezione della classe dirigente, di conseguenza un sistema di valori e di comportamenti condivisi e da ultimo la prospettazione di un orizzonte comune verso il quale dirigersi. Gli espedienti individuali per farsi strada nella vita — leggansi le raccomandazioni — si infrangono, in genere, di fronte a un chiaro quadro di obiettivi e a una misura dei meriti nella capacità di perseguirli. A queste debolezze congenite nel nostro processo di unificazione nazionale cercò di ovviare il fascismo autoattribuendosi, cioè attribuendo all’Italia, un ruolo da grande potenza. Il crollo rovinoso di questa fantasia puerile, seguito immediatamente dalla lunga tutela della Guerra Fredda — un’epoca nella quale eravamo ufficialmente esentati dal pensare al nostro destino, perché ci pensavano altri — ha generato la pericolosa illusione che i problemi irrisolti potessero tranquillamente restare tali.
La Guerra Fredda è finita, più tardi la crisi economica ha stretto tutti alla gola e si è cominciato a vedere nelle proprie tasche che cosa significhi appartenere a una nazione o all’altra. Tutte le debolezze che avevamo nascosto sotto al tappeto sono venute impietosamente in luce. Per questo, in una sindrome Schettino generalizzata, ognuno ha cercato e cerca di saltare sul mezzo di salvataggio più prossimo, incurante non solo del decoro, ma della più elementare decenza. Non solo violando le regole, ma letteralmente calpestando il prossimo e i suoi diritti.
Ha fatto benissimo il presidente Napolitano a richiamare l’attenzione sul fenomeno delle raccomandazioni, soprattutto per quanto riguarda il primo impiego di tanfi giovani. Può sembrare, questo, un tratto della bonaria Italia degli anni Cinquanta, l’ennesimo ritorno dell’Alberto Sordi eterno, vero e fondamentale archetipo dell’italiano. Non è così e questo non è un richiamo rituale. Chiunque viva nel mondo reale può vedere con i propri occhi una crudezza completamente nuova. La ferocia della competizione, l’uso di ogni mezzo, il soffocamento e umiliazione degli sconfitti, i crolli psicologici, il senso profondo dell’ingiustizia subita. Non è più il vecchio topos dei raccomandati, è la lotta elementare per la sopravvivenza. Anche gli sbandamenti politici, i rapidissimi cambiamenti di opinione, l’affidamento a nuove e nebulose divinità — la Rete — che sembrano però offrire una garanzia, oggettiva e non manipolabile, di giustizia, di equita, di eguaglianza, solo in questa luce divengono comprensibili. Chi oggi porta la responsabilità della guida del Paese ha sulle sue spalle un compito gigantesco. Non solo deve pensare all’oggi e al domani, ma a tutto quel che non si è fatto in un secolo e mezzo. I nodi sono venuti al pettine. E se i giovani ansiosi e quasi disperati possono, pur se fallacemente, sperare di trovar qualcuno da cui farsi raccomandare, l’Italia per certo non ha più nessuno che la raccomandi.
giovedì 23 maggio 2013
CHIARE LETTERE (7)
dal Corriere della Sera >
- Editoriali >
UN'IDEA DEL NOSTRO PAESE NEL MONDO
Un'ambizione troppo timida
Serve ancora a qualcosa l'Italia? E a che cosa? Può ancora immaginare in quanto Nazione di avere una vocazione, un destino, suoi propri? E qual è il suo ruolo, se ce n'è uno, in relazione agli altri Paesi del mondo?
Tra i molti nodi che oggi stanno venendo al pettine c'è anche questo. Un nodo creatosi, a ben vedere, con la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, sul cui significato di cesura non metabolizzata si apre, non a caso, con alcune acute osservazioni, il bel libro di Giuliano Amato e di Andrea Graziosi Grandi illusioni (Il Mulino) appena andato in libreria. Fino a quella data le classi dirigenti della Penisola - di estrazione invariabilmente borghese, con qualche rarissima eccezione sia pure assai significativa come nel caso del fascismo con Mussolini e pochi altri - furono tutte convinte che lo Stato nazionale fosse sorto con una «missione». Quella di riportare l'Italia al centro dello sviluppo storico, di farne in vario modo una «potenza» in grado di rivaleggiare con le altre del continente, di restaurarne l'antico prestigio civile e culturale, di elevare le sue plebi alla dignità di «popolo». Declinata in senso nazional-liberale prima, e nazional-fascista poi, questa convinzione fece naufragio nella catastrofe del 1943-45. All'indomani, la Repubblica dei partiti si trovò più o meno d'accordo nel fondare la civitas democratica, ma - animata com'era da visioni storiche tra loro diversissime, e sotto il peso del disastro appena passato - non poté porsi la questione della nazione. (Anche se questa, in modo perlopiù tacito, era ancora ben presente e talora visibile negli uomini e nelle idee dei partiti di quella stessa Repubblica).
Ingabbiati nel doppio bipolarismo Est-Ovest e comunisti-democristiani, decidemmo quindi - prima a maggioranza, ma in seguito alla caduta del muro di Berlino praticamente all'unanimità - che il nostro solo destino erano l'Occidente e l'Europa. Che il nostro orizzonte era assorbito per intero da quelle due dimensioni. Che la nostra storia finiva lì. Oggi ci accorgiamo che siamo stati un po' troppo sbrigativi. Che in un'Europa che è ancora (e chissà ancora per quanto) un'Europa degli Stati, cioè delle sovranità, la nostra sovranità non è meno importante delle altre. Ma che se essa vuole contare qualcosa, se vuole essere forza e sostanza di un vero soggetto politico, deve fondarsi necessariamente su un'idea d'Italia. Cioè sul presupposto che questo Paese abbia un insieme di retaggi, di qualità, di vocazioni e di aspirazioni peculiarmente suoi, e che precisamente queste peculiarità esso sia chiamato in qualche modo a riunire e a esprimere entro la moderna forma dello Stato nazionale.
Immaginare ed elaborare un'idea d'Italia corrispondente ai bisogni dell'ora è oggi il compito storicamente più urgente della politica italiana. Essa deve mostrarsi capace di additare un senso e un cammino complessivi alla nostra presenza sulla scena storica. Solo in tal modo la politica stessa sarà in grado di riscoprire e rinvigorire la dimensione dello Stato nazionale e della sua sovranità, sperando così di ritrovare un rapporto con il Paese capace di animarlo e motivarlo di nuovo.
Solo così riusciremo a riprenderci, a ricominciare. Sono ormai anni che le energie della società italiana appaiono paralizzate, i suoi animal spirits bloccati. Che il Paese è immerso in una crisi di sfiducia nelle proprie forze, in una sorta di apatia, di sfibramento psicologico, che minacciano di divenire una cupa rassegnazione. L'economia con ciò ha molto a che fare. È difficile infatti che a qualcuno venga in mente d'investire in un Paese che non sa quello che è, né ciò che vuol essere. È difficile che qualcuno avvii qualcosa d'importante e a lungo termine in un Paese che non ha idea di che cosa esiste a fare, che non guarda al proprio passato come al trampolino per un avvenire. Nella dimensione esclusiva dell'oggi, infatti, al massimo si sopravvive: per esistere con pienezza di vita bisogna, invece, sapere da dove si viene e dove si va. Ma la politica solamente può e deve dirlo. Come essa ha fatto altre volte nel nostro passato, quando si è dimostrata capace di mobilitare risorse, di sollecitare energie, di concepire vasti disegni. E ogni volta, non a caso, ritornando a quel nesso profondo, all'origine della nostra storia unitaria, che lega indissolubilmente lo Stato nazionale italiano a un'idea d'Italia. Senza la quale neppure il primo, alla lunga, riesce ad esistere.
Solo così riusciremo a riprenderci, a ricominciare. Sono ormai anni che le energie della società italiana appaiono paralizzate, i suoi animal spirits bloccati. Che il Paese è immerso in una crisi di sfiducia nelle proprie forze, in una sorta di apatia, di sfibramento psicologico, che minacciano di divenire una cupa rassegnazione. L'economia con ciò ha molto a che fare. È difficile infatti che a qualcuno venga in mente d'investire in un Paese che non sa quello che è, né ciò che vuol essere. È difficile che qualcuno avvii qualcosa d'importante e a lungo termine in un Paese che non ha idea di che cosa esiste a fare, che non guarda al proprio passato come al trampolino per un avvenire. Nella dimensione esclusiva dell'oggi, infatti, al massimo si sopravvive: per esistere con pienezza di vita bisogna, invece, sapere da dove si viene e dove si va. Ma la politica solamente può e deve dirlo. Come essa ha fatto altre volte nel nostro passato, quando si è dimostrata capace di mobilitare risorse, di sollecitare energie, di concepire vasti disegni. E ogni volta, non a caso, ritornando a quel nesso profondo, all'origine della nostra storia unitaria, che lega indissolubilmente lo Stato nazionale italiano a un'idea d'Italia. Senza la quale neppure il primo, alla lunga, riesce ad esistere.
Ernesto Galli della Loggia23 maggio 2013 | 8:55
martedì 21 maggio 2013
GIUSTIZIE D'EBOLI
Nella revisione delle circoscrizioni giudiziarie si è prevista l'abolizione delle sedi distaccate di Tribunale. La previsione potrebbe provocare effetti immediati e negativi in quelle sedi ancora operative sebbene abolite. Potrebbe, ad esempio, verificarsi una "fuga" dei magistrati migliori, che anticiperebbero così un successivo trasferimento.
Nelle sedi distaccate resterebbero solo magistrati "di risulta": quelli esclusi dalla corsa al trasferimento.
E rischierebbe di manifestarsi nei non-trasferiti una sindrome di abbandono, una perdita di fiducia per essere considerati meno idonei, insomma i sintomi di quello che viene definito complesso d'inferiorita'.
Per reazione, il non-trasferito inizierebbe ad ostentare superiorità, anche attraverso sentenze esageratamente originali, volendo attribuirsi, con la difformità, un'autorevolezza mai altrimenti raggiunta.
Le abolende sedi distaccate comporrebbero quasi una "black list" giurisprudenziale, dove si produrrebbero sentenze molto innovative ma per niente ragionevoli.
Ma sicuramente cose di questo genere non si verificheranno mai.
giovedì 16 maggio 2013
ABUSO D'UFFICIO? NO, SOSTEGNO FAMILIARE (2° ATTO: PROMULGATA LA LEX SILVIA)
Aggiornamenti
sulla questione già sollevata con il post: http://montonevince.blogspot.it/2013/01/abuso-dufficio-no-sostegno-familiare.html
: è ammissibile che, in un giudizio, sia
nominato consulente del Giudice un tecnico il cui figlio è, in quello stesso
momento, progettista di una delle parti in causa? Secondo il Tribunale di Vallo
della Lucania, anche in sede civile, la cosa è perfettamente normale, perché il
rapporto figlio-padre non influenza le valutazioni che il padre deve effettuare
sull’immobile progettato dal figlio.
Ritiene il
Giudice che padre e figlio siano due persone ben distinte, escludendo dunque
che tra loro debba esserci una convergenza di interessi, anche quando lavorino
nel medesimo studio professionale.
Resta comunque
singolare che una delle parti, tra tutti i tecnici disponibili, abbia scelto di
nominare l’unico che era anche figlio del CTU! Ma la decisione, a mio parere,
avrà importanti risvolti anche in altri ambiti.
Proprio in
questi giorni è stata avanzata la richiesta di dichiarare ineleggibile l’Onorevole
Silvio Berlusconi in quanto titolare (attraverso MEDIASET) di concessioni
pubbliche per le trasmissioni televisive.
Ebbene, se varrà
per tutti il principio enunciato dai Magistrati di Vallo della Lucania, è
evidente che l’Onorevole Berlusconi dovrà essere dichiarato perfettamente eleggibile,
dal momento che amministratore della MEDIASET non è lui bensì il figlio
Piersilvio.
Ed essendo due
persone distinte, perché mai una dovrebbe influenzare l’altra?
venerdì 3 maggio 2013
OCCULTAMENTO DI SENTENZE
Pensavo di aver sperimentato le più oscene deformità dell'amministrazione giudiziaria, eppure quella di stamattina e' riuscita a stupirmi.
Dovrebbe essere noto che le sentenze civili, dopo essere state redatte e sottoscritte dal Giudice, vengono "pubblicate", ovvero depositate in ufficio affinché appunto il pubblico possa leggerle e farsene rilasciare una copia. La possibilità di leggere integralmente la sentenza e' essenziale per il cittadino comune come per l'avvocato, inoltre è proprio dalla pubblicazione che decorre il termine di 6 mesi entro il quale è ammissibile appellare una sentenza. Ebbene, se questa è la regola, il Tribunale di Eboli l'ha sostituita con un ossimoro: la pubblicazione occulta.
Dopo aver ricevuto via mail la comunicazione che una sentenza è pubblicata, ho scoperto che non avrei potuto leggerla (tantomeno averne una copia) prima di qualche mese, ovvero il tempo di restituirla dall'ufficio che trasmette le mail (e che si trova a Salerno) all'ufficio (di Eboli) dove si richiedono le copie. Se questo spostamento di carte dovesse richiedere più di sei mesi, avro' perso per sempre la possibilità di appellare una sentenza sfavorevole. Ottimo espediente per ridurre i tempi dei processi! E non vi sembri esagerata una previsione di sei mesi per trasportare carte da Salerno ad Eboli: al 21 marzo 2013 ancora si attendevano fascicoli del 2012.
Qualcuno potrebbe ingenuamente obiettare: ma se lo scopo era trasmettere via mail l'avvenuta pubblicazione, era proprio necessario farlo da Salerno? Piuttosto che portare migliaia di fascicoli avanti ed indietro non sarebbe stato piu' semplice portare ad Eboli un computer ed un dipendente capace di spedire mail?
Obiezione appunto ingenua perché, di fronte ai delitti contro la logica ed il buon senso perpetrati con quelle sentenze, è sicuramente consigliabile, per gli autori, cercare di occultarne le prove.
venerdì 26 aprile 2013
sCANsateci!
Con molta cura si cerca di rendere difficile l'accesso alla Giustizia: il metodo più' tipico e' inventare nuovi adempimenti, sempre più superflui ed idioti: tra questi sicuramente eccelle il CAN (comunicazione di avvenuta notifica).
Forse già sapete che gli atti giudiziari possono essere spediti all'indirizzo del destinatario e consegnati a "persona di famiglia o addetta alla casa" (art. 139 CPC), per esempio alla Sig.ra Ninuccia, la colf.
Dal 2008 però, se il postino non trova a casa il destinatario della missiva, dovrà anche spedire una seconda raccomandata, per avvertirlo che l'atto è stato consegnato a Ninuccia.
Ma questa seconda raccomandata, pagata dall'avvocato, può essere lasciata dal portalettere alla colf, sicché - comunque - non c'e' nessuna garanzia che il destinatario l'abbia personalmente ricevuta.
"Buongiorno Sig.ra Ninuccia, sono il postino, devo consegnare una comunicazione importante ed urgente del Tribunale al Sig. Tizio".
"Oh, mi dispiace, il Sig. Tizio è partito per Bangock..."
"Vabbè, allora la lascio a voi..."
"E se lui non torna in tempo?"
"Non vi preoccupate, spedisco io un'altra raccomandata per avvertire che ho consegnato."
"Aah.. e la spedite a Bangock?"
"No, no, sempre qua!"
Tra i tanti obblighi idioti, questo ha almeno un beneficiario sicuro: le Poste Italiane, che si fanno pagare un sovrapprezzo di 3,60 euro ogni volta che cercano Tizio e trovano Ninuccia.
Mi auguro sinceramente si tratti di un espediente per aumentare lo stipendio ai portalettere, non ci sarebbe altra spiegazione, a parte ... un abuso di CANnabis!
sabato 13 aprile 2013
venerdì 5 aprile 2013
CHIARE LETTERE (6)
Viaggio pagato grazie al convegno
04 APRILE 2013 DI SERGIO RIZZO / IL CORRIERE DELLA SERA
Notizia ferale, quella arrivata a tutti i magistrati del Tar e del Consiglio di Stato qualche giorno fa in una comunicazione del nuovo segretario generale della Giustizia amministrativa Oberdan Forlenza. Eccola: per la notte del 13 aprile prossimo non è previsto il rimborso del pernottamento a Roma. Il giorno dopo sono previste le elezioni del nuovo Consiglio di presidenza, l’equivalente del Csm per i circa 400 giudici amministrativi che sono chiamati a scegliere i propri rappresentanti. Il seggio resterà aperto dalle 9 alle 21 per dare modo a tutti, anche quelli che non hanno sede nella Capitale, di arrivare a Roma in treno o aereo, votare e tornarsene a casa. Un giorno di indennità di missione, viaggio pagato e stop.
Apriti cielo. Il malumore si è immediatamente propagato nella posta elettronica interna, dove ha iniziato a serpeggiare la rivolta. A raffreddare gli animi non è servito nemmeno ricordare, a quanto pare, che le procedure del voto sono rigorosamente stabilite da una legge del 1973. I più riottosi hanno replicato che la prassi seguita finora aveva sempre previsto il weekend romano, con indennità di missione del giorno prima e conseguente pernottamento. Chi ha lamentato quindi di essere costretto dalla distanza a una trasferta faticosissima, chi ne ha fatto una questione di principio, chi ha persino tirato in ballo il principio di autonomia. Fatto sta che la cosa, invece di essere liquidata come una rivendicazione tanto assurda da non poter nemmeno essere presa in considerazione, è diventata una faccenda di Stato. Tanto da rendere necessaria una riunione del Consiglio di presidenza il giorno di Venerdì Santo e addirittura, ispirati forse dalla decisione presa dal capo dello Stato Giorgio Napolitano per sciogliere i nodi della crisi di governo, la creazione di una commissione di saggi incaricata di risolvere l’intricato caso. E non è finita qui. Perché l’istruttoria della commissione dovrà essere prima oggetto di un confronto, previsto oggi, con l’ostinato Forlenza che si rifiuta di accordare il soggiorno in albergo. Per essere successivamente sottoposta, domani, a una riunione del plenum del Consiglio di presidenza. Chiamato probabilmente a ratificare una soluzione sorprendente.
Volevate forse che in una tale concentrazione di esperti di procedure, norme e cavilli non si riuscisse a risolvere un problema così banale? Ecco allora che a qualcuno è venuto in mente un autentico colpo di genio. Un convegno! Non un semplice convegno, sia chiaro, bensì un convegno «formativo». Dove sta la differenza? Che siccome la formazione fa giustamente parte dell’attività di un magistrato, la partecipazione a un incontro «formativo» è lavoro. Lo spiega bene una mail inviata ai magistrati lunedì scorso dalla segreteria dell’Ufficio studi del Consiglio di Stato, che vale la pena di riportare integralmente: «In occasione delle votazioni dei componenti elettivi del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa previste per il 14 aprile p.v. l’Ufficio studi, massimario e formazione ha organizzato un incontro formativo dal titolo “Trasparenza e privacy nell’amministrazione e nella giustizia amministrativa”. Si rammenta che i magistrati potranno usufruire del trattamento di missione per raggiungere la sede dell’incontro nella giornata di sabato e partecipare poi alle votazioni previste per la giornata successiva del 14 aprile».
Il convegno si aprirà alle due del pomeriggio di sabato 13 aprile. Dopo gli «spunti introduttivi» del presidente di sezione del Consiglio di Stato Paolo Cirillo, interverranno fra gli altri il ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi, la presidente della Civit Romilda Rizzo e il Garante della privacy Antonello Soro, fino a qualche mese fa ex parlamentare del Pd. Seguiranno passeggiata, cena e una bella dormita. Prevedibile costo del supplemento formativo, fra indennità e pernottamenti, circa 25 mila euro. Briciole. Già. E il prezioso tempo perduto per le riunioni, i lavori della commissione, le polemiche via mail? Ancora più avvilenti degli sprechi, tuttavia, sono la caratura e il ruolo dei protagonisti di questa vicenda che lasciano interdetti. Esponenti di una magistratura competente a decidere su fatti di enorme importanza economica, per esempio gli appalti pubblici, e certo la più vicina al potere: quella che finisce di regola nelle stanze dei bottoni, a gestire i ministeri e scrivere le leggi. Con retribuzioni a partire da 6 mila euro netti al mese. Che permettono, ne siamo più che certi, anche il lusso di una notte in albergo (con cena) a Roma.
mercoledì 27 marzo 2013
INAMMISSIBILITA' DELL'ACCERTAMENTO TECNICO E DELLA CONSULENZA TECNICA PREVENTIVA
Nell’ordinanza allegata si ribadiscono i requisiti per l’ammissibilità dell’accertamento tecnico preventivo, previsto dall’art. 696 c.p.c. nonchè della consulenza preventiva, disciplinata dal successivo art. 696bis c.p.c.
Dalla lettura dell’art. 696 c.p.c. risulta evidente che l’accertamento
tecnico preventivo possa essere ammesso solo ove sussista l’urgenza di assumere
una prova prima che, nei tempi ordinari del giudizio di merito, tale assunzione
diventi impossibile o, comunque, più difficile.
Ed infatti la giurisprudenza ha ben chiarito che la necessaria
allegazione del periculum in mora è
finalizzata a “scongiurare
l’instaurazione di procedimenti ante causam privi del carattere dell’urgenza,
volti all’ottenimento di consulenze tecniche d’ufficio esplorative, non
precedute, come invece accade negli ordinari giudizi di cognizione, dalla
positiva valutazione del giudice circa la necessità dell’indagine tecnica ai
fini del decidere“ (Così Trib. Milano, Ordinanza del 23 01 2007; nello
stesso senso anche Trib. Salerno, sez. I, Ordinanza del 16 06 2009).
****
Per quanto invece concerne la consulenza tecnica preventiva, nel definire
le caratteristiche dell’azione prevista ex art. 696bis cpc, la giurisprudenza
di merito ne ha evidenziato la natura, definendola “anfibologica”. L’azione
infatti è diretta principalmente alla deflazione del contenzioso, assolvendo ad
una funzione conciliativa pre-giurisdizionale; al contempo permane la sua inerenza
ad una successiva fase giurisdizionale, alla quale resterà acquisita ai sensi
dell’art. 696bis comma 5.
In ragione di questa proiettabilità all’interno di un ordinario giudizio
di cognizione, si è evidenziato che, se non occorre la sussistenza di un periculum in mora, è invece necessario
accertare il requisito del fumus boni
juris.
La giurisprudenza di merito ha così ritenuto che “la
possibilità che il risultato della consulenza tecnica preventiva, sebbene in
prima battuta finalizzato ad una soluzione conciliativa della controversia,
possa penetrare all’interno del processo, rende infatti necessaria una
deliberazione del giudizio in termini non solo di ammissibilità, ma anche di
rilevanza nel futuro giudizio di merito. In caso negativo si avrebbe la
strumentalizzazione della iurisdictio all’esercizio di una funzione meramente consultiva. Il giudice deve valutare se il risultato
di quella consulenza tecnica potrà essere utilizzato per la decisione futura o
se quest’ultima si arresterà all’esame di una questione preliminare di rito o
di merito(…) Assumere in via preventiva una prova che nel processo di merito
sarà inutiliter data contrasta
inoltre sia con un criterio di ragionevolezza che con il principio di economia
processuale” (Così Trib. Prato, Ordinanza del 09 05 2011).
Vi è una generale concordanza a ritenere inapplicabile l’art. 696bis cpc “in tutti quei casi in cui le parti
controvertono non solo sulla misura dell’obbligazione risarcitoria, ma anche
sulla effettiva sussistenza della stessa. In sostanza, la norma suddetta
sarebbe applicabile solo nei casi in cui è incontestata tra le parti la
sussistenza di una obbligazione risarcitoria, ed è oggetto del contendere
unicamente l’entità della medesima obbligazione” (Così Trib.
Bologna, sezione Lavoro, Ordinanza del 15 02 2010; v. anche Trib. Bologna, sez.
III, Ordinanza del 21 11 2008).
lunedì 25 marzo 2013
giovedì 21 marzo 2013
IMPAR UBIQUO (2)
La mattina del 19 marzo, telefonando per augurare un buon onomastico a mio cugino Giuseppe, l'ho trovato abbastanza innervosito. Mi rispondeva dal Tribunale; anche lui avvocato, aveva appena saputo che l'udienza di quella mattina, alla quale si era diligentemente preparato - sacrificando la festività- non si sarebbe svolta per improvvisi sopraggiunti impegni del Magistrato.
Il giorno successivo, sfogliando il giornale, apprendevo che quel Magistrato aveva trascorso la mattinata del 19 in una scuola elementare, partecipando ad un convegno sulla legalità.
Educare alla legalità è senz'altro un meritevole obiettivo, che forse sarebbe meglio raggiungere attraverso i buoni esempi, quelli che forniscono le persone quotidianamente impegnate a rispettare i propri doveri.
In ogni caso, anche quando saremo tutti più educati alla legalità, per rendere concreto questo concetto astratto sarà sempre necessario far funzionare i Tribunali, dunque fissare udienze e, sopratutto, consentire che si svolgano.
Se poi la legalità dovesse rivelarsi un concetto troppo ostico, potremmo provare ad educare a qualcosa di più accessibile, per esempio alla buona creanza, quella che obbliga ad avvisare quando non si può rispettare un impegno.
Avrete capito che l'episodio descritto e' integralmente frutto della mia fantasia: nessun Magistrato sarebbe così screanzato da disertare le udienze per esibirsi in un convegno e, soprattutto, senza dare adeguato preavviso agli avvocati che lo attendono.
Se poi da qualche parte si fosse effettivamente verificato qualcosa di simile, vabbè', sarà stata una imprevedibile casualità.
lunedì 18 marzo 2013
IMPAR UBIQUO
Lo scorso 6 marzo mi sarei dovuto trovare, contemporaneamente, in due udienze: una alla Corte dei Conti di Napoli, l'altra al Tribunale Penale di Vallo della Lucania.
Mi sono dunque premurato di far pervenire al Magistrato di Vallo una richiesta di rinvio, sdegnosamente respinta perché, una volta appreso l'impedimento, avrei dovuto incaricare un collega di sostituirmi.
Il rifiuto del Magistrato, per quanto scortese, e' giuridicamente ineccepibile, visto che la Cassazione Penale ammette come legittimo l'impedimento solo a precise e restrittive condizioni.
L'avvocato che apprenda di essere impegnato in due diversi Fori dovrebbe infatti dare immediata comunicazione di questa concomitanza e dimostrare l'impossibilità di nominare un suo sostituto.
Se rispondono ad una volontà di non protrarre i tempi processuali, allora queste condizioni voglio accettarle, purché siano applicate anche ai Magistrati.
Quante mattinate perse da avvocati e testimoni per arrivare dinanzi ad un aula e sentirsi dire: "Il Magistrato ha avuto un impedimento..."
E non può nominarsi un sostituto?
E che tempestività di comunicazione: qualcuno ha trascorso la notte in treno e adesso viene sbrigativamente avvertito di ritornare, tra qualche mese e salvo impedimenti ...della Giustizia!
venerdì 15 marzo 2013
lunedì 11 marzo 2013
Per Quali Motivi? (1)
Per quali motivi la sentenza
penale deve essere pronunciata "subito dopo la chiusura del
dibattimento" (art. 525 CPP) mentre quella civile può essere depositata
"entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il
deposito delle memorie di replica" (art. 275 CPC)?
Insomma, in un processo per omicidio, appena finita l'udienza, il giudice dovra' chiudersi in ufficio e non potrà tornarsene a casa prima di aver letto al pubblico la sua decisione.
Insomma, in un processo per omicidio, appena finita l'udienza, il giudice dovra' chiudersi in ufficio e non potrà tornarsene a casa prima di aver letto al pubblico la sua decisione.
Se invece la signora del
piano di sopra ha lasciato il rubinetto aperto e vi ha allagato la casa, per
una sentenza di risarcimento dovrete aspettare, dopo la conclusione della
causa, che gli avvocati si scrivano tra loro quello che nel frattempo e'
accaduto, poi, entro altri 60 giorni, il giudice dovrebbe decidere (ma se
non rispetta questo termine potrete solo attendere ancora).
Avete la sensazione che si
conceda meno tempo alle questioni più rilevanti e si sprechino gli anni
per le futilità?
Anch'io.
PALAZZI MARZIANI
Salgo ad Agropoli sul treno delle 7,37; mentre leggo il giornale una donna piange al cellulare, parla una lingua straniera, dell'est- Europa.
Sceso a Napoli Centrale mi avvio alla Metropolitana, una prima barriera la trovo sulle scale: la Circumvesiana ferma costringe tutti da questa parte. Un secondo argine, più impegnativo, per salire sul vagone. Un'aspirante passeggera dirige le operazioni: "Entrate nei corridoi!....Nei corridoi!...Se non saliamo tutti da qui non si parte!"
Dentro, stretto tra studenti che si sistemano la cresta ed extracomunitari assorti, e' semplice rimanere in equilibrio, tranne alle fermate: a Montesanto sale addirittura una gita scolastica, chissà se avevano programmato una gita alla Città' della Scienza, ieri dissipata nel fuoco.
Procedendo verso Mergellina la calca si dirada, alla stazione percepisco addirittura un vago fremito di spazialità riconquistata.
Sbandiera un tricolore stinto, passandoci sotto accedo alla Corte dei Conti: la dilatazione degli spazi adesso e' violenta, sono proiettato oltre i limiti temporali.
Nel cortile una quiete assoluta, irreale, dalle ringhiere sorrisi e conversazioni serene.
C'è ancora un'argine, prima dell'ascensore, ma qui è tutto satinato, composto, cadenzato. Offro il mio tesserino di avvocato per un pass d'ingresso, corredato di molletta lucida ed efficiente, per non sciuparla la ripongo cautamente nella borsa.
Al secondo piano tante porte, poche voci; due uscieri si aggirano morbidi, l'andatura inganna: sono spietati inquisitori che ogni tre minuti mi ripetono: "Lei chi è'?...Cosa deve fare?...Esibisca l'avviso...si accomodi ed attenda".
Mi accomodo su pregiato pellame, tra due olii del barocco napoletano, alti tre metri, larghi due, con pescatori scalzi che dispensano la loro merce a contadine in estasi.
L'aula è climatizzata, microfonata, ampia e vuota.
Ispeziono allora i bagni e trovo sapone liquido ed acqua calda.
Ripercorro il corridoio, ancora nessuna voce ma molti monitor accesi, da uno di questi vengo informato sul dramma di Cavani, che da cinque giornate non riesce a segnare.
Torno a sedermi ed attendo che sia dispensata la Giustizia.
giovedì 7 marzo 2013
GIUSTIZIA CON QUALCHE GRILLO PER LA TESTA
Uscire da una fanghiglia che sommerge speranze ed energie: questo il desiderio di molti elettori italiani, espresso con il voto dello scorso febbraio.
La disperazione riformatrice sfida i Palazzi, ancora indenne quello della Giustizia, quando si smuoverà la moltitudine assidua di queste mura?
La giurisdizione ha smarrito il senso della propria funzione: rendere concreti quei principi astratti che consentono la convivenza civile.
Il tempo che avvocati, giudici e personale amministrativo trascorrono nei Tribunali e', per la maggior parte, sprecato in attività inutili, refrattarie alla logica comune.
Tracima un vuoto di senso sul quale galleggia la polvere di formule rimasticate.
Mentre scrivo la televisione diffonde le immagini dell'incendio alla Città della Scienza di Napoli, ma ogni giorno partecipo ad un disastro impercettibile nel suo fragore: l'annientamento della Giustizia.
Quando si constaterà' la compiuta distruzione ci sarà' l'occasione di ricostruire.
Forse avremo magistrati che studiano l'inglese per scrivere un diritto europeo.
Non trascorreremo ore al volante per trasportare carte: bastera' il computer.
Alle udienze si discuterà di fatti noti anche a chi ascolta ed ogni settimana potremo consegnare una sentenza ai nostri assistiti, che non ne derideranno l'efficacia.
Sarà una sorprendente normalità.
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